È possibile applicare la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto anche al reato continuato (nota alla sentenza n. 18891/2022 delle sezioni unite penali della Corte di cassazione)

Scritto da: Dott. Ciro Cardinale

di Ciro Cardinale

Rivista penale italiana – ISSN 2785-650X

Abstract

It’s possible to apply the cause of exclusion of the punishment due to the particular tenuousness of the fact (art. 131-bis italian criminal code) also to the continued offense (art. 81 c. 2 italian criminal code) since there is no incompatibility between the two institutes.

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È possibile applicare la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) anche al reato continuato (art. 81 c. 2 c.p.) poiché non c’è incompatibilità tra i due istituti. Parola della Corte di cassazione penale a sezioni unite ([1]), che ha così superato un contrasto giurisprudenziale insorto sul punto tra gli stessi supremi giudici. Le sezioni unite, affrontando il quesito “se la continuazione tra i reati sia di per sé sola ostativa all’applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ovvero lo sia solo in presenza di determinate condizioni”, con la decisione in commento hanno risposto negativamente alla prima parte, positivamente alla seconda, enunciando quindi i seguenti principi di diritto: 1. “la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p., salve le ipotesi in cui il giudice la ritenga idonea, in concreto, ad integrare una o più delle condizioni tassativamente previste dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell’offesa o per qualificare il comportamento come abituale”; 2. “in presenza di più reati unificati nel vincolo della continuazione, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere riconosciuta dal giudice all’esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che, salve le condizioni ostative previste dall’art. 131-bis c.p., tenga conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall’entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall’intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti”. Per la Cassazione, quindi, non c’è incompatibilità tra reato continuato e cause di esclusione della punibilità, essendo i due “istituti ispirati entrambi al principio del favor rei, che rispondono ad esigenze e finalità sostanziali diverse, ma fra loro pienamente conciliabili, del sistema penale”. Mentre con il primo l’ordinamento “mira ad attenuare il rigore sanzionatorio del cumulo materiale, sostituendo ad esso il diverso regime del cumulo giuridico nell’ipotesi in cui i reati commessi con più azioni od omissioni siano il frutto di un’unica determinazione del soggetto attivo”, con l’altro esso “persegue la finalità di mandare esenti da pena quei fatti che, nella loro concreta realizzazione, appaiano caratterizzati da un grado minimo di offensività e, dunque, non meritevoli di applicazione in concreto della sanzione, in ossequio ai principi di extrema ratio e proporzionalità della reazione punitiva da parte dell’ordinamento”.

I fatti. Un uomo era stato condannato in primo grado per violenza privata continuata ex art. 81 c. 2 e 610 c.p., per avere parcheggiato ripetutamente la propria autovettura sulle corsie di entrata e di uscita del distributore di carburante del fratello, impedendo o rendendo comunque difficile per i clienti utilizzare il servizio. Con tale decisione, confermata in appello, è stata negata all’imputato anche l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto chiesta dalla difesa, in quanto il riconoscimento del vincolo della continuazione tra più condotte di eguale indole, ripetute nel tempo impedirebbe tale sua applicazione. Investita della questione, su ricorso del difensore dell’imputato, la quinta sezione penale della Cassazione ([2]) ha però rimesso il caso alle sezioni unite, avendo riscontrato sul punto un contrasto tra due diversi orientamenti giurisprudenziali.

Il contrasto giurisprudenziale. Secondo un primo indirizzo inizialmente dominante ([3]), basato sul tenore letterale dell’art. 131-bis cit., la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è applicabile al reato continuato (art. 81 c. 2 cit.), considerando i due istituti incompatibili tra loro, in quanto il vincolo della continuazione appare espressione di un “comportamento abituale” per la reiterazione di condotte penalmente rilevanti, di per sé ostativo al riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto. Un altro orientamento oggi prevalente ([4]) ritiene invece possibile applicare la causa di non punibilità ex art. 131-bis anche al reato continuato, purché questo non sia espressione di una tendenza o di una inclinazione a delinquere, lasciando così al prudente apprezzamento del giudice decidere caso per caso l’applicabilità del primo istituto sulla base di alcuni elementi, quali la gravità del fatto, la capacità a delinquere, i precedenti penali e giudiziari, la durata della violazione, il numero delle disposizioni di legge violate, gli effetti della condotta antecedente, contemporanea e susseguente al reato, gli interessi lesi e perseguiti dal reo ([5]). Le sezioni unite, ricevuto ed esaminato il ricorso, con la pronuncia annotata hanno scelto di condividere questo secondo indirizzo, superando così il contrasto giurisprudenziale.

La decisione delle sezioni unite. Condividendo con questa nota l’articolato processo logico-interpretativo sviluppato nella sentenza, possiamo sicuramente affermare che “dall’analisi del tenore letterale e del contenuto della disposizione in esame (cioè dell’art. 131-bis c.p., ndr) non è desumibile alcuna indicazione preclusiva alla potenziale applicabilità della relativa disciplina al reato continuato”. La causa di non punibilità infatti “ha natura sostanziale ed una portata applicativa generale, come tale riferibile a tutte le ipotesi di reato rientranti nei parametri previsti dall’art. 131-bis cit. Ne discende che, al di fuori delle ipotesi tassativamente escluse (nel secondo comma) dalla sfera di applicazione dell’istituto, la regola generale è quella secondo cui, nell’ambito delle fattispecie incriminatrici rientranti nei limiti edittali di pena stabiliti dall’art.131-bis, qualunque offesa arrecata può sempre essere ritenuta di particolare tenuità, se in tal senso viene concretamente valutata dal giudice sulla base delle modalità della condotta e del danno o del pericolo cagionato al bene giuridico protetto”, secondo il principio di proporzione che è “il fondamento logico-funzionale e anche costituzionale dell’istituto”. Per le sezioni unite “l’istituto della continuazione, diversamente da quanto affermato in alcune decisioni che aderiscono al primo orientamento giurisprudenziale, non può essere considerato come sinonimo della nozione di abitualità”, per poi escludere da qui l’applicabilità dell’art. 131-bis anche al reato continuato. Secondo il tenore letterale della norma, infatti, la punibilità è esclusa non solo quando “l’offesa è di particolare tenuità”, ma anche nel caso in cui “il comportamento risulta non abituale”. Com’è noto “si suole definire abituale il reato per la cui esistenza la legge richiede la reiterazione di più condotte identiche od omogenee” ([6]) ed il terzo comma dell’art. 131-bis individua ben tre ipotesi di abitualità, ritenute tassative dalla giurisprudenza ([7]), in presenza delle quali non è possibile applicare la norma: 1. quando l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza; 2. quando abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità; 3. quando si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate. Come si vede, in nessuna di esse si fa espresso riferimento alla continuazione tra reati, per cui bisogna operare solo in via ermeneutica per escludere o ritenere applicabile l’art. 131-bis anche al reato continuato. Mentre il primo caso di abitualità non crea particolari problemi interpretativi, si è ritenuto ([8]) che con gli altri due il nostro legislatore abbia voluto escludere dal perimetro applicativo della noma in esame sia quei comportamenti seriali che presentano il carattere dell’abitualità, come i maltrattamenti in famiglia, che quei reati che presentano condotte reiterate, come gli atti persecutori. E poiché l’elemento che unifica i diversi reati sotto il vincolo della continuazione è rappresentato dal “medesimo disegno criminoso” (art. 81 c. 2), esso appare sicuramente incompatibile con i comportamenti che sono invece espressione di un’azione seriale o di un’abituale violazione di legge, gli unici che sono rilevanti – per espressa volontà del legislatore – perché sia esclusa l’applicabilità dell’art. 131-bis. Infatti, il medesimo disegno criminoso “postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia unitariamente deliberato una serie di condotte criminose e non si identifica con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime, invece, l’opzione del reo a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati che, seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a priori nelle loro principali coordinate, rivelando una generale propensione alla devianza, che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali” ([9]). L’abitualità, invece, “presuppone un impulso criminoso reiterato nel tempo che è incompatibile con l’unitaria deliberazione criminosa che caratterizza l’ipotesi del reato continuato” ([10]); ne consegue che “la volontà di commettere più reati per scelta delinquenziale, dovuta alla generica deliberazione di persistere nella condotta delittuosa, non ha nulla a che vedere con l’unicità del disegno criminoso tra due o più reati. Questa, consistendo in un progetto delinquenziale unitario, nell’ambito del quale la consumazione dei reati sia stata ideata e programmata, con riguardo ai mezzi e alle modalità di esecuzione, anche in un arco di tempo non necessariamente breve, non può essere confusa con l’abitudine a commettere un determinato tipo di reato” ([11]). È allora necessario distinguere l’identità del disegno criminoso, che caratterizza il reato continuato, da altre ipotesi di collegamento tra più reati, come l’abitualità o la professionalità criminosa, che invece giustificano un giudizio di maggiore gravità della condotta dell’agente ed escludono l’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 131-bis. Ancora, l’eventuale esclusione del reato continuato (art. 81 c.2) dall’ambito applicativo della non punibilità per la particolare tenuità del fatto rischierebbe pure di generare incongruenze sistematiche con la linea interpretativa che pacificamente riconosce invece l’applicabilità dell’art. 131-bis al concorso formale di reati, di cui al primo comma dell’art. 81. Anche se si tratta di due fattispecie diverse, è indubbio che, ai fini della valutazione del requisito della abitualità del comportamento, una eventuale disparità di trattamento fra le due ipotesi, quella del concorso formale prevista al primo comma dell’art. 81 e l’altra del reato continuato di cui al secondo comma, sarebbe contraria ai principi di ragionevolezza, coerenza ed unicità del sistema, che impongono di considerare tali due ipotesi come “unitarie” ai fini dell’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. ([12]). Alla fine di questo articolato processo ermeneutico, le sezioni unite hanno quindi riconosciuto la piena compatibilità tra la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ed il reato continuato, affermando i due principi di diritto sopra riportati, ispirati chiaramente al principio del favor rei, ma lasciando sempre al giudice di merito un ampio margine di discrezionalità per accertare in concreto la tenuità del fatto e quindi l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. anche in presenza del medesimo disegno criminoso.

[1] Sent. 27 gennaio 2022, n. 18891, pubbl. 12 maggio 2022, qui in allegato. Sulla decisione v. A. Aceto, La continuazione tra reati non osta alla non punibilità per particolare tenuità del fatto, in https://www.altalex.com/documents/2022/05/17/continuazione-reati-non-osta-non-punibilita-particolare-tenuita; A. Di Tullio D’Elisiis, La particolare tenuità del fatto può essere riconosciuta anche in caso di continuazione: vediamo come, in https://www.diritto.it/la-particolare-tenuita-del-fatto-puo-essere-riconosciuta-anche-in-caso-di-continuazione-vediamo-come/.

[2] Ord. 8 ottobre 2021, n. 38174. Sull’ordinanza v. M. Di Florio, L’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. al reato continuato: la parola alle Sezioni Unite, in https://www.penaledp.it/lapplicabilita-dellart-131-bis-c-p-al-reato-continuato-la-parola-alle-sezioni-unite/; E. Zuffada, Alle Sezioni Unite la questione relativa all’applicabilità della particolare tenuità del fatto al reato continuato, in https://www.sistemapenale.it/it/scheda/cassazione-2021-38174-rimessione-sezioni-unite-particolare-tenuita-fatto-reato-continuato.

[3] V. per tutte Cass. pen., sez. VI, 2 maggio 2019, n. 18192; Id., sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 44896; Id., sez. III, 4 maggio 2018, n. 19159.

[4] V. tra le altre Cass. pen., sez. III, 28 settembre 2021, n. 35630; Id., sez. V, 2 novembre 2020, n. 30434; Id., sez. II, 17 ottobre 2019, n. 42579.

[5] Cass. pen., sez. un., 6 aprile 2016, n. 13681.

[6] Così la sentenza in commento.

[7] Cass. pen., sez. un., 6 aprile 2016, n. 13681, cit.

[8] Ibidem.

[9] Cass. pen., sez. I, 18 aprile 2016, n. 15955.

[10] Id., 27 luglio 2018, n. 36036.

[11] Id., sez. IV, 26 marzo 1993, n. 8897.

[12] Id., sez. III, 20 novembre 2018, n. 16502.