Giudizio direttissimo: il rito dei “meno presunti non colpevoli”

Scritto da: Dott. Gianluca Benvenuto Sinfisi

di Gianluca Benvenuto Sinfisi

Rivista penale italiana – ISSN 2785-650X

Abstract

Il giudizio direttissimo è un procedimento speciale acceleratorio del dibattimento, previsto dal codice di procedura penale e da alcune leggi speciali, con l’obiettivo di instaurare celermente il dibattimento e di giungere a un provvedimento che definisca il giudizio. Sovente si assiste nella prassi a fenomeni di compressione delle garanzie costituzionali giustificate proprio dall’esigenza di economia processuale. Scopo del presente scritto è quello di esaminare l’assetto normativo e gli indirizzi giurisprudenziali dai quali emerge il maggior distacco tra l’applicazione giudiziaria del rito de quo e i principi e le garanzie sanciti dalla Costituzione e dalle fonti internazionali.

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SOMMARIO: 1. La disciplina costituzionale ed europea del giudizio direttissimo. – 2. Le questioni relative al diritto di difesa e alla libertà personale. – 2.1. La formulazione dell’imputazione nel giudizio direttissimo: l’omessa notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e l’elisione dell’udienza preliminare. – 2.2. La formazione del fascicolo del dibattimento a esclusiva opera del PM e il difficoltoso intervento del difensore nel procedimento. – 2.3. Nil de me sine me: il procedimento in absentia dell’imputato evaso o legittimamente impedito e il diritto all’interprete dell’imputato alloglotto. – 2.4. L’effetto preclusivo e dispensativo del termine a difesa. – 2.5. La presenza dell’imputato in udienza: il perimetro incerto del potere di «presentazione» del PM e la convalida della misura come titolo della permanenza dello status detentionis. – 3. In iudicando est criminosa celeritas: le questioni relative all’imparzialità, alla terzietà e alla naturalità e precostituzione per legge del giudice. – 3.1. L’indebita conoscenza da parte del giudice del dibattimento di alcuni atti di indagine. – 3.2. La discrezionalità del PM in ordine alla scelta del rito. – 4. L’illegittimità dei giudizi direttissimi previsti dalle leggi speciali. – 5. Le problematiche legate alle ipotesi di flagranza assimilata. – 6. Le questioni relative al principio di uguaglianza: il trattamento dello straniero irregolare. – 7. Lo stato di emergenza consente deroghe al principio di legalità processuale? – 8. Conclusioni. – Bibliografia.

 

«L’irrogazione della condanna segue, immediata ed esemplare, il fatto di reato che ha destato l’allarme sociale, così come la ‘reazione’ ad uno stato di ira indotto da un fatto ingiusto altrui determina comportamenti reattivi immediatamente susseguenti al fatto. In questo contesto il rischio, ancor oggi avvertito, è quello che una ‘sentenza facile’ prevalga sulla ricerca di una ‘sentenza giusta’ come conseguenza del mancato approfondimento dei fatti e della personalità»[1]

 

1.La disciplina costituzionale ed europea del giudizio direttissimo.

L’art. 2, comma 1, punto 43 della l. 16 febbraio 1987, n. 81 di delega al Governo per l’emanazione dell’attuale codice di procedura  penale stabilisce che esso «deve attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale», discendendo da ciò che qualsiasi contrasto tra la disciplina codicistica e le predette fonti non potrebbe che determinare l’illegittimità costituzionale della prima, quantomeno a causa del vizio di eccesso di delega per la violazione dell’art. 76 Cost[2]. Peraltro, l’art. 117, comma 1, Cost. consente alla Corte costituzionale di dichiarare costituzionalmente illegittime le disposizioni ordinarie che contrastino anche con i «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali», le cui norme sono dotate del rango di «norma interposta»[3]. Oltre che dall’art. 13, comma 3, Cost., il quale costituisce una puntuale normazione in materia di provvedimenti urgenti di limitazione della libertà personale[4], il giudizio instaurato in seguito al procedimento direttissimo deve allora  rispondere, tra gli altri, ai canoni previsti dall’art. 111 Cost. in materia di «giusto processo», dall’art. 25, comma 1, Cost. in materia di naturalità e precostituzione per legge del giudice, dall’art. 3 Cost. in materia di uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini di fronte alla legge e, novissima autem non minimus, dall’art. 24, comma 2, Cost. in materia di diritto di difesa, così come all’art. 6 della C.E.D.U. del 1950 e agli artt. 9 e 14 del P.i.d.c.p. (Patto internazionale sui diritti civili e politici) del 1966. Peraltro, con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2004, prima, e con il trattato di Lisbona del 2009, poi, gli Stati membri dell’Unione europea si sono accordati per estendere la tutela dei diritti fondamentali anche a livello europeo perseguendo il cosiddetto «minimo comune denominatore europeo» del diritto processuale penale[5]. Il tutto considerando, peraltro, l’immanenza del principio di non colpevolezza sancito dall’art. 27, comma 2, Cost., sussistente anche in stati del procedimento ove il peso dell’evidenza probatoria sia tale da far ritenere, fin dalle prime battute, che l’indagato sarà il destinatario di una celere sentenza di condanna[6].

Tuttavia, nonostante le premesse di cui supra, la disciplina attualmente prevista dal codice di procedura penale e dalle leggi speciali non consente all’imputato il pieno esercizio del diritto di difesa, né tantomeno essa si pone in linea con i canoni previsti a livello costituzionale ed europeo, tanto che taluno ha rilevato come la mera sottoposizione al giudizio direttissimo possa essere assimilata a una “sanzione” di tipo processuale, alla quale di fatto si cumula la sanzione formale della condanna[7]. Si consideri, peraltro, che mentre nel sistema previsto dal codice di procedura penale del 1930 il giudizio direttissimo costituiva il procedimento più marcatamente accusatorio – data la sua preminente funzione di anticipare il dibattimento – nel sistema previsto dall’attuale codice si presenta come uno dei più inquisitori, instaurandosi sulla sola iniziativa del PM[8].

 

2.Le questioni relative al diritto di difesa e alla libertà personale.

Le cadenze del rito direttissimo sono piuttosto serrate, volte alla celere instaurazione del dibattimento. Nei casi più rapidi, il termine di instaurazione del rito è di quarantotto o novantasei ore dalla privazione della libertà personale nei casi di arresto in flagranza convalidato dal giudice del dibattimento[9] ovvero di soli tre giorni in caso di notificazione a comparire all’imputato in stato di libertà[10]: di qui il primo ordine di criticità, con riguardo al diritto di difesa previsto dall’art. 24, comma 2, Cost., ai canoni del «giusto processo» previsti dall’art. 111 Cost. o dell’«equo processo» previsti sia dall’art. 6 C.E.D.U. sia dall’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966. Sul punto possiamo riscontrare come la giurisprudenza maggioritaria si è dimostrata poco incline a concedere all’imputato gli spazi difensivi sottrattigli dalla disciplina poco garantista già prevista dal codice di procedura penale[11].

 

2.1. La formulazione dell’imputazione nel giudizio direttissimo: l’omessa notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e l’elisione dell’udienza preliminare.

L’attuale codice di procedura penale, nel delineare la disciplina prevista per il giudizio direttissimo, ha ritenuto che in casi particolari di evidenza qualificata della prova sia del tutto superfluo l’adempimento di alcuni atti, come la notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p. e la celebrazione dell’udienza preliminare, i quali, invece, costituiscono uno snodo determinante ai fini della conoscenza dell’addebito a carico dell’imputato; con riferimento al rito in esame, questa allora avviene o al momento della formulazione dell’imputazione di fronte al giudice con l’imputato presente, al momento dell’udienza di convalida e di contestuale giudizio direttissimo ex art. 451, comma 4, c.p.p. ovvero mediante la notificazione della citazione a comparire all’udienza ex art. 450, comma 2, c.p.p.[12]. Se dal punto di vista investigativo e del principio di economia processuale tale scelta legislativa può apparire sensata, essa non può tuttavia non suscitare qualche perplessità con riferimento all’art. 111, comma 3, Cost., primo e secondo periodo, il quale prescrive che «nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato (…) disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa».

Con riguardo alla omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, la giurisprudenza ha ritenuto che l’art. 415-bis c.p.p. non è applicabile al rito in esame[13], privando l’indagato/imputato della facoltà di esplicare la difesa in un momento cruciale del divenire procedimentale[14]. Peraltro, come sottolineato dalla dottrina[15], nei casi di giudizi direttissimi atipici l’imputato potrebbe essere sottoposto improvvisamente al dibattimento senza aver mai avuto contezza del procedimento in corso; con la conseguenza che tale rito potrebbe instaurarsi in casi diversi dalla convalida dell’arresto in flagranza, dalla confessione ovvero dall’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, i quali quantomeno consentono all’indagato di “intuire” i fatti per i quali il PM sta procedendo. Sul punto, seppur in via generale, si è espressa anche la Corte costituzionale, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’omessa notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari nel rito in esame, scrivendo che «la garanzia di uno specifico ius ad loquendum dell’indagato in tanto si giustificano, in quanto il pubblico ministero intenda coltivare una prospettiva di esercizio dell’azione penale» e che nessuna lesione al diritto di difesa possa prospettarsi in tale situazione[16]; anzi, prosegue la Corte, sarebbe proprio il legislatore a poter legittimamente modulare il diritto di difesa «in relazione alle caratteristiche dei singoli riti speciali ed ai criteri di massima celerità e semplificazione che li ispirano»[17].

Potrebbero essere sollevate le medesime critiche anche in relazione all’elisione del controllo giurisdizionale svolto in sede di udienza preliminare. Infatti, nel processo ordinario la difesa, potendo contare sulla piena conoscenza degli atti di indagine, è in grado di assumere le determinazioni circa la scelta di eventuali riti speciali. Benché sia previsto che tale scelta sia esercitabile anche in sede di giudizio direttissimo[18], con riguardo alla instaurazione ex abrupto del rito la difesa non ha la piena conoscenza degli atti di indagine, stante il frequente caso che vede il difensore accedere alla discovery solo nel momento in cui l’udienza di convalida e di contestuale giudizio direttissimo ha luogo, spesso mentre si discutono diversi procedimenti in aula[19]. Peraltro, come si vedrà meglio infra, secondo la giurisprudenza sarebbe precluso all’imputato l’accesso ai riti premiali quando la difesa richieda un termine a tal fine[20]. Nemmeno potrebbe essere assimilato all’istituto dell’udienza preliminare il controllo giurisdizionale ex art. 452, comma 1, c.p.p. – a detta di chi scrive un “simulacro” del primo – proprio perché, a differenza del rito ordinario, la conoscenza preventiva degli atti di indagine avviene già in pubblica udienza e di fronte al giudice del dibattimento: qualora questi ammetta il rito, già potrebbe aver maturato la decisione sul merito della reiudicanda[21]. Si consideri, peraltro, che nel nostro ordinamento ciò è previsto anche quando si procede per i reati più gravi, a differenza di altri ordinamenti ove il controllo giurisdizionale sul rinvio a giudizio è previsto in via costituzionale[22] od omesso solo nel caso di reati di minore gravità[23]. Benché la Corte costituzionale abbia dapprima stabilito che l’udienza preliminare, proprio perché é la sede in cui si introduce per la prima volta la dialettica processuale dinanzi ad un giudice terzo e imparziale, «é destinata a svolgere essenzialmente una funzione di garanzia, quale certamente é quella di consentire all’imputato di difendersi e contrastare la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero»[24], con decisioni di opposto segno ha ritenuto, invece, che l’assetto processuale che caratterizza il giudizio direttissimo non comporta la violazione del diritto di difesa dell’imputato[25].  Con altre decisioni del medesimo indirizzo e tra loro richiamate, la Corte Costituzionale ha pure statuito che l’art. 24, comma 2, Cost. debba essere interpretato nel senso che la formula «in ogni stato» del procedimento non significa che la Costituzione imponga che il procedimento conosca necessariamente ‘più stati’, ma solo che, quando più fasi processuali siano stabilite dalla legge, non ve ne sia alcuna nella quale la difesa sia preclusa[26] e che l’assenza della fase istruttoria, che caratterizza il giudizio direttissimo nel suo complesso, non confligge con il diritto di difesa[27].

Peraltro, con riferimento al giudizio direttissimo in materia di armi ed esplosivi previsto e disciplinato dall’art. 12-bis, l. 7 agosto 1992, n. 356, il Tribunale di Verona aveva con ordinanza sollevato nel 2005 la questione di legittimità costituzionale di detta disposizione rispetto agli artt. 3, comma 1, 24, comma 2, e 111, comma 2, Cost. considerando che «il rito direttissimo si caratterizza per una notevole compressione, rispetto ai riti ordinari, della dimensione temporale e procedimentale delle garanzie difensive: sia in quanto l’esercizio dell’azione penale è disposto senza previo invio dell’avviso di conclusione delle indagini; sia in quanto non è prevista l’udienza preliminare ed il termine a comparire è di soli tre giorni»[28]. Purtroppo, la Corte costituzionale con l’ordinanza del 12 giugno 2007 n. 187[29] si era limitata all’esame dei soli profili di censura dell’art. 12-bis, l. n. 356 del 1992, senza decidere il merito della questione attinente all’omissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e all’elisione dell’udienza preliminare nel direttissimo in materia di armi ed esplosivi, rispetto al principio di difesa.

In ultimo, occorre considerare come la mancanza degli snodi processuali de quibus strida maggiormente rispetto al principio di difesa con riguardo alla disciplina codicistica novellata sia dalla riforma del 2008[30] sia dalla riforma del 2013[31]. Infatti, con l’estensione del termine a trenta giorni per l’instaurazione del rito direttissimo si è prodotto un allontanamento rispetto alla giustificazione di un’anticipazione così immediata del dibattimento e, dunque, l’incremento del numero di imputati sottoposti ai procedimenti per direttissima che non possono beneficiare né dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari né del filtro dell’udienza preliminare[32].

 

2.2. La formazione del fascicolo del dibattimento a esclusiva opera del PM e il difficoltoso intervento del difensore nel procedimento.

Il primo periodo dell’art. 111, comma 2, Cost., introdotto dalla L. Cost. 23 novembre 1999, n. 2 stabilisce che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale». Questa disposizione, in combinato disposto con l’art. 24, comma 2, Cost., vorrebbe che la difesa, sia essa in senso personale che in senso tecnico, partecipasse attivamente alla formazione del patrimonio conoscitivo del giudice, e ciò non solo nelle more del dibattimento, bensì anche nella fase ad esso precedente, e che il processo penale stesso si svolga nel rispetto del principio del «contraddittorio nella formazione della prova», tra parte pubblica e parti private, nell’ottica di valorizzare «il ruolo propulsivo della difesa»[33]. Sono queste le ragioni a sostegno, tra gli altri, del principio di separazione delle fasi, del quale l’attività di formazione del fascicolo per il dibattimento rappresenta la concretizzazione. Nel caso del processo ordinario, la formazione del fascicolo per il dibattimento avviene per mezzo della attività del giudice nel contraddittorio delle parti, conformemente all’art. 431, commi 1 e 2, c.p.p.[34], nel rispetto dell’art. 111, commi 2 e 5, Cost.[35]. Questo, invece, non accade per il giudizio direttissimo, in quanto tale formazione avviene a esclusiva opera del pubblico ministero[36], per cui non è da escludere che questi, nel peggiore dei casi, “travasi” nel fascicolo per il dibattimento atti inerenti alla fase investigativa, in violazione dell’art. 431 c.p.p. Benché tale evenienza possa essere “neutralizzata” in sede di controllo giurisdizionale di cui all’art. 452, comma 1, c.p.p., tale controllo produce però lo spiacevole effetto di rendere edotto il giudice del dibattimento dell’esistenza di alcuni atti investigativi[37]. La dottrina ha sul punto sostenuto come tale disciplina sia in contrasto con l’art. 111, comma 2, e comma 5 Cost.[38], mentre la giurisprudenza si è attestata su un diverso orientamento, volto a escludere la nullità di cui all’art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. nel caso in cui la formazione del fascicolo del dibattimento avvenga in assenza del contraddittorio delle parti, posto che «la formazione del detto fascicolo non si cristallizza con l’udienza di cui all’art. 431 c.p.p. ma con la fine della discussione di cui all’art. 491 c.p.p.»[39]. Per di più, l’imputato sottoposto al giudizio direttissimo non può giovarsi della possibilità che la giurisprudenza cambi orientamento, posto che per detto procedimento tale orientamento costituisce la regola di diritto, prevista dall’art. 450, comma 4, c.p.p., che contrasta apertamente con il principio di separazione delle fasi. Se venisse devoluta una questione attinente al fascicolo per il dibattimento di fronte al giudice di questa fase, verrebbe vanificata la ratio che l’art. 431 c.p.p. intende, invece, valorizzare, posto che residua pur sempre il rischio che il giudice del dibattimento, pur espungendo un atto dal fascicolo ex art. 491 c.p.p., rimanga comunque condizionato dalla conoscenza dell’esistenza e del contenuto del medesimo.

Sempre nel medesimo contesto, si deve parimenti criticare l’assetto previsto dal giudizio direttissimo con riguardo alla costituzione del rapporto processuale. L’art. 450, comma 5, c.p.p. prevede l’obbligo in capo al PM di notificare al difensore l’avviso della data fissata per il giudizio «senza ritardo», formula, questa, decisamente vaga e generica, interpretata a più riprese in modo sempre meno garantista dalla giurisprudenza di legittimità[40], nonostante l’art. 111, comma 3, Cost. assicuri alla persona accusata di un reato di disporre «del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa»[41]. Innanzitutto, la formula «senza ritardo» implica, secondo alcuni[42], una lettura in combinato disposto con l’art. 450, comma 6, c.p.p. sulla facoltà del difensore «di prendere visione e di estrarre copia … della documentazione relativa alle indagini espletate»[43]; mentre, secondo altri[44], stante l’impossibilità di tradurre in termini rigidamente temporali detta locuzione, il sintagma «senza ritardo» richiede che l’adempimento dell’avviso al difensore da parte del PM debba avvenire nel momento in cui questi intenda procedere al rito direttissimo. Infatti, secondo una certa e condivisibile dottrina[45], stanti le difficoltà inerenti «all’esatta individuazione del momento in cui matura il diritto del difensore alla conoscenza degli atti d’indagine nell’ambito del giudizio direttissimo promosso nei confronti dell’imputato detenuto (…) applicando rigidamente alla fattispecie in esame l’equazione instaurazione del giudizio/conoscenza degli atti, il difensore nominato rischierebbe di giungere all’udienza del tutto ignaro della piattaforma probatoria», tanto è vero che questo è proprio quelle che spesso accade nelle aule di giustizia. Una soluzione a questo problema potrebbe rintracciarsi nell’esecuzione dell’avviso de quo al difensore con un “congruo” anticipo rispetto all’effettivo avvio del dibattimento, in modo da giustificare una sorta di assolvimento “anticipato” dell’obbligo di discovery da parte del pubblico ministero[46]. Sul punto, la giurisprudenza si è mostrata molto meno garantista. Da un lato, fin dal periodo di vigenza del codice del 1930, questa ha infatti ritenuto che l’omesso avviso al difensore della data dell’udienza una mera irregolarità, tale da non nuocere alle prerogative della difesa, stante la facoltà di quest’ultima di ottenere l’assegnazione di un termine a difesa[47], mentre, d’altro canto, si è mostrata alquanto avvezza all’utilizzo smodato di mezzi atipici di comunicazione degli avvisi in casi di urgenza, benché tale materia fosse in realtà oggetto di normazione ai sensi dell’art. 149 c.p.p.[48]. Con una risalente decisione, le Sezioni unite della Corte di cassazione avevano ritenuto che il mezzo comunicativo deve essere «adeguato», ossia che deve essere compiuto nel «modo che si appalesa il più idoneo a rintracciare il difensore per rendergli nota la comunicazione»[49]. Infatti, la valutazione di «adeguatezza» del mezzo prescelto deve essere formulata caso per caso, tenendo conto dei tempi disponibili, dei luoghi nei quali risulta più probabile reperire il difensore e di tutti gli altri dati a disposizione dell’ufficio che deve eseguire l’avviso e che può considerarsi «adeguato» il mezzo di comunicazione che, seppur non restituisca la prova della conoscenza effettiva dell’avviso, quantomeno preveda gli strumenti per renderlo noto. Questa interpretazione implica che, una volta accertata la adeguatezza del mezzo usato, diviene irrilevante ai fini della comunicazione che l’avviso sia conosciuto[50].

Da questa decisione sono seguite negli ann numerose pronunce, sempre meno garantiste, come quella che ha tacciato di abnormità il provvedimento del giudice che dichiari la nullità dell’avviso de quo – con contestuale restituzione degli atti al PM – nel caso in cui il c.d. «decreto di presentazione» ometta l’indicazione della data di presentazione[51], o le altre che hanno ritenuto “adeguato” l’avviso di fissazione dell’udienza inviato al cellulare del difensore tramite «sms»[52], o a mezzo telefono da parte dell’ufficiale di polizia giudiziaria[53] che abbia più volte tentato invano di contattare il difensore[54], o addirittura in forma orale[55], quando il ricorrente non ha fornito la prova nè allegato l’indirizzo e-mail o di posta elettronica certificata per dimostrarne la non corrispondenza a quelli utilizzati per le comunicazioni[56], quando non è stato notificato al difensore che venga nominato di fiducia in un secondo momento[57] o notificato un’ora e mezza prima dell’udienza tenuta presso il tribunale distante quarantotto chilometri dallo studio professionale contattato[58] o, addirittura, quando lo studio professionale fosse chiuso per l’orario serale[59] o perché si trattasse della domenica[60]. Nonostante alcune isolate pronunce della Cassazione di segno decisamente più garantista di quelle poc’anzi citate[61], ad avviso di chi scrive il sistema appena delineato si mostra nel suo complesso apertamente in contrasto non solo con il diritto di difesa, bensì anche con il principio di ragionevole durata del processo, il quale consiste in un parametro che vorrebbe lo svolgimento del procedimento penale non troppo lungo (ma nemmeno troppo breve)[62].

Ancora, fermo restando che le Sezioni Unite hanno ritenuto che costituisce una nullità di ordine generale a regime intermedio la violazione del diritto del difensore di «prendere visione, prima dell’udienza di convalida, delle richieste in ordine alla libertà personale, unitamente agli elementi sui quali le stesse si fondano»[63], con riguardo al diritto del difensore di conoscere degli atti di indagine occorre distinguere tra il giudizio direttissimo “contestuale” alla convalida dell’arresto e il giudizio direttissimo instaurato entro i trenta giorni dalla convalida dell’arresto. Nel primo caso, il difensore può venire a conoscenza degli atti solo in occasione della celebrazione dell’udienza, “di fretta” e nel pieno svolgimento degli altri processi[64], prima che il giudice provveda a esaminare il fascicolo del procedimento di convalida e contestuale giudizio. Ciò fortunatamente non accade, invece, per il rito direttissimo instaurato entro i trenta giorni dalla privazione della libertà personale, che consente al difensore di conferire comunque con l’arrestato[65] o con l’imputato che abbia ricevuto la citazione a comparire all’udienza[66], determinando così l’illegittima disparità di trattamento tra l’imputato sottoposto al giudizio direttissimo del primo tipo e l’imputato sottoposto, invece, al giudizio direttissimo entro i trenta giorni dalla convalida del GIP.

 

2.3. Nil de me sine me: il procedimento in absentia dell’imputato evaso o legittimamente impedito e il diritto all’interprete dell’imputato alloglotto.

Sempre con riferimento al diritto di difesa, rilevano diverse questioni inerenti allo svolgimento del processo in assenza dell’imputato e l’impossibilità di reperire l’eventuale interprete nelle more del giudizio direttissimo, in particolare nella forma contestuale alla convalida.

Per il primo caso sono piuttosto frequenti i giudizi direttissimi instaurati in absentia per evasione dell’imputato, nella maggior parte dei casi sottoposti agli arresti domiciliari[67], in quanto ciò è dovuto alla facilità con la quale l’accusa – se non la stessa polizia giudiziaria – sia in grado di accertare la violazione dell’art. 385 c.p. Qualora il PM decida qui di procedere comunque al giudizio direttissimo, secondo la più recente giurisprudenza non solo l’assenza dell’imputato non sarebbe di ostacolo alla celebrazione dell’udienza di convalida dell’arresto e del relativo provvedimento, ma sarebbe pure illegittimo il provvedimento di restituzione degli atti al PM in base alla mancata presenza dell’imputato[68]. Un differente indirizzo interpretativo, più garantista, ha invece correttamente ritenuto legittima la restituzione degli atti al pubblico ministero, posto che tale provvedimento è idoneo ad assicurare la tutela del diritto fondamentale dell’imputato a conoscere l’accusa mossa nei suoi confronti[69].

Discorso non del tutto dissimile è stato delineato dalla giurisprudenza in tema di legittimo impedimento dell’imputato nell’udienza del giudizio direttissimo[70]. Parte della giurisprudenza ha qui equiparato la posizione dell’imputato legittimamente impedito a quella dell’evaso[71], mentre un diverso filone interpretativo ha ritenuto comunque valida la celebrazione dell’udienza di convalida e del contestuale giudizio direttissimo sulla base del fatto che la non comparizione dell’imputato fosse rappresentasse un’evenienza prevista dalla legge come non preclusiva[72]. Altra parte della giurisprudenza si è invece mostrata maggiormente garantista nei confronti dell’imputato legittimamente impedito in quanto intrasportabile per ragioni di salute[73].

Passando adesso ad affrontare il caso dell’impossibilità di reperire prontamente un interprete all’imputato che non comprende la lingua italiana, possiamo affermare che tale ipotesi è affrontata dall’art. 109, comma 1, c.p.p., che stabilisce: «gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana»; pertanto, l’imputato ha il diritto, anche (e soprattutto) nelle more dell’udienza di convalida dell’arresto e di giudizio direttissimo, all’assistenza gratuita dell’interprete se egli non comprende o non parla tale lingua[74]. Peraltro, egli, in quanto «accusato», dovrebbe parimenti essere «essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico»[75]. Nonostante tale nutrito quadro normativo, la nostra giurisprudenza ha ultimamente ritenuto che il mancato reperimento dell’interprete nelle more dell’udienza di convalida dell’arresto e dunque nella fase dell’interrogatorio dell’indagato, non costituisca comunque ostacolo non solo alla convalida del provvedimento, bensì anche alla celebrazione del contestuale giudizio direttissimo, giustificando tale assunto sulla base che tale evenienza costituisca un caso di “forza maggiore”[76]. Con una decisione del medesimo segno la Corte di cassazione ha stabilito pure che la polizia giudiziaria non è obbligata in forza della direttiva 2010/64/UE a tradurre il verbale di arresto nella lingua nota all’accusato, non ritenendo tale verbale rientrante tra i «documenti fondamentali» per garantire l’esercizio del diritto di difesa individuati dall’art. 3 della direttiva[77]. Tale decisione, ad avviso di chi scrive, rappresenta una palese violazione non tanto del diritto all’assistenza all’interprete dell’indagato/imputato, quanto dell’art. 6, § 3, lett. a), C.E.D.U. e dell’art. 9, § 2, P.i.d.c.p. sul diritto dell’arrestato di essere posto nelle condizioni di conoscere l’accusa alla base del provvedimento restrittivo della libertà personale[78], in quanto il verbale di arresto contiene le sommarie esposizioni utili a far comprendere all’indagato arrestato le ragioni per le quali egli abbia subìto detta limitazione della libertà personale in forza dell’art. 13, comma 3, Cost[79].

Si consideri, oltretutto, che la giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso di escludere il diritto dell’arrestato o dell’imputato all’assistenza dell’interprete se, nelle more dell’udienza, il giudice accerti di fatto che lo straniero abbia mostrato, in qualsivoglia maniera, di rendersi conto del significato degli atti compiuti con il suo intervento o a lui indirizzati e se in conseguenza di questi non sia rimasto inerte[80].

 

2.4. L’effetto preclusivo e dispensativo del termine a difesa.

Ai fini del pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato, non occorre solo che questi sia a conoscenza dell’addebito (rectius informato «nel più breve tempo possibile»[81] dell’accusa a proprio carico), bensì occorre parimenti che egli disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la difesa[82] e di poter prontamente conferire con il proprio difensore e di optare per un rito premiale deflattivo del dibattimento[83]. Il legislatore, conscio di questa compressione e avendo fatto parziale tesoro dell’esperienza maturata sotto la vigenza del codice del 1930[84], ha previsto all’art. 451, commi 5 e 6, c.p.p. una disciplina ad hoc in merito agli avvisi che il presidente è tenuto a dare all’imputato della facoltà di chiedere il rito alternativo e «altresì» della facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a dieci giorni[85]. Tralasciando momentaneamente la questione dell’esiguità del termine a difesa concedibile, preme qui considerare la portata delle conseguenze che la giurisprudenza ha individuato con riguardo al rispetto di tale termine, con riguardo ai suoi effetti dispensativo e preclusivo.

Con riferimento all’effetto dispensativo del termine a difesa, si è già considerato supra[86] come la giurisprudenza abbia avallato l’esclusione di alcun tipo di nullità allorquando al difensore non venga notificato l’avviso di fissazione della data di udienza, stante la sua facoltà di chiedere il termine a difesa. La facoltà riconosciuta al difensore di accedere ai fascicoli in pendenza del termine a difesa non deve di per sé essere sufficiente a dispensare il pubblico ministero dal notificare all’indagato l’avviso di fissazione dell’udienza, viceversa dovendosi rilevare una lesione del diritto di difesa che si consumerebbe prima dell’apertura del dibattimento, e che non potrebbe essere recuperata a giudizio  ormai instaurato[87]. Infatti, l’avviso di fissazione dell’udienza e la concessione del termine a difesa sono istituti concepiti dal legislatore per assolvere a funzioni diverse, tanto è vero che il primo è preordinato sia all’assistenza nel corso del giudizio[88], che a garantire l’effettività e la qualità della difesa quale funzione dialettica contrapposta all’accusa sul piano probatorio[89], mentre il secondo appare destinato ad un approfondimento in vista del dibattimento[90]. Quanto sopra, peraltro, va letto anche alla luce delle cadenze del rito direttissimo, dal momento che la presentazione dei testimoni, dei periti e dei consulenti direttamente in udienza con le modalità di cui all’art. 451, comma 2, c.p.p. non consentirebbe l’agevole controesame della difesa in assenza di una piena e preventiva conoscenza degli atti di indagine[91]. Tra l’altro, nel frangente della fase c.d. “predibattimentale” del procedimento direttissimo, si è obiettata la difficoltosa – se non impossibile – operatività dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p. sull’integrale restituzione o riparazione del danno e sull’eliminazione o riduzione delle conseguenze del reato «prima del giudizio»[92]. Taluni hanno persino avallato la tesi secondo la quale il divieto del colloquio ex art. 104, commi 3 e 4, c.p.p. possa legittimamente trovare applicazione anche nel rito direttissimo, posto che l’imputato può ottenere il termine a difesa e stabilire un colloquio con il difensore in un momento successivo[93]. Tutto ciò non può che non costituire un vulnus alla funzione difensiva.

Andando adesso all’effetto preclusivo del termine a difesa, esso non riguarda tanto le modalità e le conseguenze degli avvisi all’imputato[94], quanto la vexata quaestio concernente la legittimità della loro omissione qualora l’imputato abbia optato per il rito alternativo e, in secondo luogo, l’impossibilità che questi possa accedere ai riti alternativi dopo che gli sia stato concesso il termine a difesa. La questione è di notevole rilievo pratico, posto che nella prassi la maggior parte delle instaurazioni del giudizio direttissimo si concludono con applicazione della pena su richiesta delle parti (83% dei casi)[95]. Il codice di procedura penale stabilisce all’art. 451, comma 5 che «il presidente avvisa l’imputato della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato ovvero l’applicazione della pena a norma dell’articolo 444» e, al comma 6, che «l’imputato è altresì avvisato della facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a dieci giorni», prevedendo in particolare la sospensione del dibattimento qualora l’imputato si avvalga di tale facoltà[96]. Dall’utilizzo della locuzione «altresì» contenuta all’art. 451 citato ne discenderebbe, ad avviso di chi scrive e della dottrina maggioritaria[97], la volontà del legislatore di rendere i due istituti (il termine a difesa e l’accesso ai riti premiali) distinti, ma reciprocamente connessi: solo la possibilità di esercitare congiuntamente le due facoltà concesse dal codice determinerebbe l’effettività del diritto di difesa, che altrimenti resterebbe vanificato qualora l’imputato, una volta convalidato l’arresto (specie mentre si trova nella cella e senza che abbia potuto ottenere la traduzione degli atti da parte dell’interprete, come spesso accade), debba scegliere immediatamente se giungere al dibattimento o al rito alternativo. Per tali ragioni sussiste l’obbligo in capo al giudice di informare l’imputato della facoltà di richiedere il termine a difesa contestualmente alla facoltà di accedere al rito premiale, stante, come scritto poc’anzi, la locuzione «altresì» contenuta nell’art. 451 citato, senza che l’esercizio dell’una non precluda l’altra facoltà. Al contrario di numerosissime decisioni di merito[98], la giurisprudenza di legittimità è monoliticamente orientata nell’escludere che l’omesso avviso della facoltà di chiedere un termine a difesa produca alcuna nullità, qualora l’imputato abbia optato per il giudizio abbreviato ovvero per l’applicazione della pena, spettando al solo imputato sottoposto al dibattimento la concessione del predetto termine[99]; allo stesso modo, la stessa Corte di Cassazione è uniforme nel ritenere che la richiesta del rito deflattivo debba essere proposta prima dell’apertura del dibattimento, dovendosi essa considerare tardiva e, dunque, inammissibile qualora sia stata proposta «dopo che abbiano avuto luogo la contestazione del reato, l’esposizione introduttiva del PM e la concessione del termine a difesa»[100]. Di diverso avviso si è mostrata, invece, una decisione di legittimità del 2010[101], la quale ha correttamente ritenuto che le richieste di termine a difesa e di applicazione alternativa di uno dei riti speciali vengono riconosciute all’imputato quali facoltà che il medesimo può esercitare subito dopo l’udienza di convalida, legittimando dunque l’imputato a richiedere prima il termine per preparare la sua difesa e, successivamente, uno dei riti speciali.

Si tenga presente, peraltro, che nulla è previsto nell’art. 451, comma 5, c.p.p. con riferimento alla sospensione del procedimento con messa alla prova[102], da ciò discendendo che la facoltà di avvisare l’imputato della facoltà di accedere a tale procedimento sia a discrezione dell’organo giudicante[103].

In ordine, infine, al quantum del termine a difesa, stabilito solo nella misura massima[104], ma non anche in quella minima, la dottrina ha espresso delle perplessità, sia in ordine alla esiguità del termine massimo, sia in ordine alla mancata predeterminazione del termine minimo, rimesso alla discrezionalità del giudice. Tale discrezionalità è mal controbilanciata ove si consideri che l’unica prerogativa difensiva nelle more dell’udienza del giudizio per direttissima è data sostanzialmente dalla possibilità di richiedere il termine a difesa, termine che, purtroppo, secondo la giurisprudenza di legittimità non è sempre possibile ottenere; peraltro, quand’anche la difesa ottenesse tale termine, avrebbe comunque uno spazio temporale estremamente ridotto entro il quale svolgere le investigazioni difensive ex artt. 391-bis ss. c.p.p., ovvero valutare allo stato degli atti se richiedere (ammesso, come già scritto, che gli sia consentito, stante la contraria giurisprudenza), una volta spirato il termine a difesa, di accedere al rito premiale. Si consideri, peraltro, che tale disciplina si porrebbe in netto contrasto con il diritto di difesa e al contraddittorio nei casi di giudizi direttissimi ratione materiae[105]. Se è pur vero che in materia processuale penale il ravvicinamento delle udienze sia scopo perseguito, seppur in via astratta, dal principio di concentrazione del dibattimento[106], occorre parimenti rammentare che il secondo periodo dell’art. 111, comma 2, Cost. vorrebbe che la durata del processo penale sia «ragionevole» e, dunque, né troppo lunga né troppo breve.

Sempre con riguardo all’esiguità del termine massimo a difesa, secondo la dottrina si tratterebbe di un termine meramente ordinatorio[107] e, come emerge da una approfondita analisi della recentissima giurisprudenza di merito[108], in ragione dell’attuale carico giudiziario[109] vengono disposti rinvii abbondantemente superiori ai dieci giorni. Benché il problema possa apparire “neutralizzato dalla prassi”, si ritiene necessario un intervento correttivo da parte del legislatore, coerentemente con il principio di separazione dei poteri.

 

2.5. La presenza dell’imputato in udienza: il perimetro incerto del potere di «presentazione» del PM e la convalida della misura come titolo della permanenza dello status detentionis.

Il codice di procedura penale non precisa quali siano i limiti entro i quali estendere il potere del pubblico ministero di presentare l’imputato all’udienza del giudizio direttissimo[110]. A ciò sono state date divergenti interpretazioni, più o meno aderenti al dettato dell’art. 13, commi 2 e 3, Cost.[111]. Secondo alcuni, la presentazione del PM, pur rappresentando «la necessità di una momentanea e provvisoria privazione della libertà personale»[112], non può in linea di principio costituire un potere coercitivo autonomo nelle mani dello stesso[113], secondo altri[114], invece, tale potere si estende fino alla facoltà dell’accusa di disporre l’accompagnamento coattivo  o di richiedere al giudice l’emissione di un decreto «che ne autorizzi la traduzione coattiva in udienza»[115], sì da garantire la presenza dell’imputato ai fini della contestazione a questi dell’imputazione ex art. 451, comma 4, c.p.p.[116]; altri autori, pur non condividendo in toto tale assunto, ritengono comunque legittima ai sensi dell’art. 13 Cost. la condotta del PM che conduca forzatamente l’imputato di fronte al giudice del dibattimento, purché tale privazione della libertà personale non permanga oltre la dichiarazione di convalida e di contestazione dell’imputazione all’imputato «presente»[117]. Di ben altro avviso è altra dottrina[118], la  quale contesta tale ricostruzione alla luce dei principi costituzionali (art. 13, comma 2, Cost.) la quale certamente non consente di legittimare un potere di conduzione forzosa del PM sulla base della mera contestabilità dell’imputazione ai sensi dell’art. 451, comma 4, c.p.p.; dottrina che si ritiene senz’altro di condividere, essendo proprio diritto dell’imputato quello di conoscere i motivi della privazione della sua libertà personale nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile[119] e in forma scritta[120]: si suggerisce, pertanto, di comunicare per iscritto l’imputazione al soggetto arrestato, ancor prima della convalida, così da superare il problema rappresentato dalla sua necessaria presenza ai fini della contestazione dell’accusa ai sensi dell’art. 451, comma 4, c.p.p.[121].

In ordine alla questione concernente lo status detentionis dell’imputato sottoposto al giudizio direttissimo «contestuale», sussiste un problema di “interferenza funzionale”, posto che di fronte al medesimo giudice (ossia quello del dibattimento) devono svolgersi fasi che, con riguardo al procedimento ordinario, sono generalmente incardinate di fronte a giudici diversi: la convalida della misura precautelare, l’eventuale emissione del provvedimento de libertate e, in ultimo, lo svolgimento del giudizio in stricto sensu[122]. Il giudice del dibattimento nel rito direttissimo , pertanto, dovrà condurre il procedimento con scrupolosa osservanza del principio di autonomia dell’ordinanza di convalida rispetto all’ordinanza cautelare[123], sancito dall’art. 391, comma 5 e comma 6, c.p.p.[124], al quale il primo comma dell’art. 449 rinvia. Infatti, come si rinviene in una recente pronuncia della Cassazione[125] in tema di arresto in flagranza, il giudice della convalida deve limitarsi – ex ante – alla «verifica della sussistenza dei presupposti legali per l’arresto e dell’uso ragionevole dei poteri da parte della polizia giudiziaria»[126] mentre – ex post –  il giudice potrà invece emettere il provvedimento sulle questioni cautelari con riguardo soltanto a una previsione per il futuro, affinché perduri una limitazione della libertà personale[127]. È purtroppo accaduto, nella prassi, che tale ordine di scomposizione delle fasi decisionali sia stato “sovvertito”, al punto che l’imputato permane in stato di arresto fino all’esito del giudizio di merito (la c.d. «ultrattività dello status detentionis») per effetto della mera convalida[128] anziché in forza di un autonomo provvedimento cautelare. Questo filone interpretativo si è formato nei primi anni Novanta del secolo scorso e poggia sul “principio” secondo il quale nel giudizio direttissimo sarebbe inapplicabile l’art. 391 comma 5 c.p.p.[129]. A questo indirizzo se ne è contrapposto un altro[130] volto, invece, a ritenere che lo status detentionis dell’imputato dovesse dipendere non dal provvedimento di convalida, bensì dal distinto provvedimento cautelare. Il contrasto è stato risolto dapprima dalla decisione a Sezioni unite Colombo Speroni del 1990[131] in favore dell’autonomia del provvedimento cautelare[132]. Tuttavia, poco tempo dopo le stesse Sezioni Unite si sono pronunciate sul punto con la decisione Simioli del 1991[133], ribaltando la precedente decisione e affermando che la convalida è funzionalmente diretta alla celebrazione del giudizio direttissimo e che, per l’effetto, è legittima la procrastinazione dello status detentionis dell’imputato fino a ogni fase o grado del processo. Secondo la dottrina tale ultimo orientamento sarebbe consolidato mentre, a giudizio di chi scrive, oggi saremmo sempre in presenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione[134]. A prescindere comunque dal futuro esito di questo contrasto, preme sottolineare come la questione sia alquanto delicata, stanti i principi di legalità e di tassatività previsti in tema di inviolabilità della libertà personale[135] i quali, unitamente a disposizioni internazionali di medesimo segno[136], dovrebbero sensibilizzare maggiormente la giurisprudenza sull’importanza del bene giuridico della libertà personale; si consideri, peraltro, che la Corte costituzionale ha stabilito come il diritto alla riparazione del danno per l’ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p. spetti anche a chi sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato «per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto, entro gli stessi limiti stabiliti per la custodia cautelare»[137].

 

3. In iudicando est criminosa celeritas: le questioni relative all’imparzialità, alla terzietà e alla naturalità e precostituzione per legge del giudice.

Premesso che il rito direttissimo ha il pregio – o il difetto – di consentire una decisa anticipazione del confronto tra le parti, talvolta anche in seguito al fatto commesso poche ore prima della celebrazione dell’udienza di convalida e contestuale giudizio[138], ne consegue innanzitutto che, oltre all’evidente pregiudizio delle prerogative difensive[139], la formazione della decisione dell’organo giurisdizionale avviene dopo un lasso di tempo decisamente ristretto dal tempus commissi delicti, con il risultato che il dispositivo della decisione potrebbe costituire il frutto di un ragionamento inficiato dal condizionamento suscitato dall’allarme sociale prodotto dal fatto per il quale si procede, specie per i casi di forte risonanza mediatica[140]; da ciò l’appellativo spesso attribuito al rito direttissimo, tra gli altri, di giudizio ab irato[141].

 

3.1. L’indebita conoscenza da parte del giudice del dibattimento di alcuni atti di indagine.

Il giudice, quand’anche fosse un soggetto particolarmente obiettivo e rigoroso nell’applicazione del dettato legislativo, potrebbe comunque venire a conoscenza, o nelle more della convalida o a causa dell’inosservanza del PM dell’art. 431 c.p.p.[142], di taluni atti di indagine che inevitabilmente orienterebbero il suo giudizio nella successiva fase dibattimentale. Infatti, il principio di separazione delle fasi[143] vorrebbe che siano più giudici-persone fisiche – come il GIP o il GUP – a decidere delle questioni che siano propedeutiche alla instaurazione del dibattimento e che il giudice di quest’ultimo debba legittimamente ignorare gli esiti delle vicende investigative[144]. Nel caso del giudizio direttissimo, invece, vi è il rischio di una precognizione del giudice di taluni atti la cui conoscenza determinerebbe inevitabilmente l’esito del giudizio di merito, in particolare nel caso del rito direttissimo contestuale alla convalida dell’arresto o del rito direttissimo instaurato in seguito alla confessione dell’indagato. Infatti, il legislatore, in ordine a questi due sub-procedimenti, ha stabilito che fosse proprio il giudice del dibattimento a valutare, in forza del combinato disposto tra gli artt. 449 e 452, comma 1, c.p.p., se i relativi presupposti possano dar vita al rito direttissimo e, nell’eventualità che questi non vengano integrati[145], di restituire gli atti al PM Tale alternativa non è soddisfacente, in quanto  non terrebbe conto del dato costituzionale ed europeo[146]. Sul punto, anche le interpretazioni estensive dell’art. 34 c.p.p.[147] fornite dalla Corte costituzionale hanno condotto a una conclusione non del tutto soddisfacente. Seppur con una decisione in particolare la Consulta abbia dichiarato l’incompatibilità dell’ufficio del giudice del dibattimento rispetto al precedente in qualità di GIP che abbia emesso un’ordinanza di tipo cautelare[148], con riguardo al giudizio per direttissima la stessa si è espressa dichiarando: (i) che la convalida dell’arresto, pur implicando una valutazione sulla riferibilità del reato all’imputato, «non comporta la formulazione di un giudizio di merito, neppure prognostico, sulla sua colpevolezza», essendo la convalida volta a verificare la legittimità o meno dell’arresto; (ii) che non può essere, dunque, configurata «una menomazione dell’imparzialità del giudice che adotta decisioni preordinate al proprio giudizio o incidentali rispetto ad esso, né una violazione del principio di eguaglianza»[149]; (iii) che, essendo il processo penale per sua natura costituito da una sequenza di atti, ciascuno dei quali può astrattamente implicare apprezzamenti su quanto risulti nel procedimento ed incidere sui suoi esiti, non può essere del tutto “frammentato”[150]. L’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con le pronunce citate è ancora oggi consolidato[151]. Nello stesso senso poi la Corte stessa ha dichiarato non fondata la questione de qua con riferimento all’art. 6 C.E.D.U., ritenendo peraltro che una nuova pronuncia additiva sul punto «sarebbe del tutto superflua»[152], ponendo dunque una (infelice) conclusione alla questione.

 

3.2. La discrezionalità del PM in ordine alla scelta del rito.

Se nel paragrafo precedente si è fatto riferimento al giudice che potrebbe subire gli effetti della precognizione data dalla preventiva conoscenza dei fatti investigativi posti a fondamento della instaurazione del rito, viceversa, ora, preme porre attenzione su una questione similare, concernente il rischio che il PM, il quale sia a conoscenza degli usuali orientamenti decisionali e delle caratteristiche personali di taluni giudici, sfrutti indebitamente a suo vantaggio la discrezionalità concessagli dal legislatore per instaurare il giudizio direttissimo di fronte al giudice-persona fisica che più ritenga opportuno, in spregio all’art. 25, comma 1, Cost., il quale vorrebbe che nessuno possa essere distolto dal «giudice naturale precostituito per legge». Infatti, è il PM a decidere se intraprendere la scelta di instaurare il rinvio a giudizio ordinario ovvero quello direttissimo[153]; peraltro, come sottolineato anche dalla dottrina[154] con riguardo al solo giudizio direttissimo, non sono ritenuti sufficienti a scongiurare tale eventualità nemmeno i criteri di attribuzione tabellare degli uffici ex artt. 7-bis e 7-ter ord. giud., stante la facoltà già accennata del PM di decidere la data di svolgimento dell’udienza[155]. Benché la questione fosse stata avvertita dagli autori già durante il periodo di vigenza del codice di procedura penale del 1930[156], la questione è sempre stata respinta dalla Corte costituzionale in forza del principio secondo il quale l’art. 25, comma 1, Cost. riguarderebbe l’ufficio giudiziario e non le persone fisiche che lo compongono, non difettando per questo motivo l’elemento della preventiva individuazione del giudice[157]. Nonostante le premesse emergenti dalla relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale, volte ad escludere che il PM potesse godere di una discrezionalità di tale ampiezza[158], nemmeno con l’avvento del nuovo codice il legislatore ha tenuto conto degli errori commessi in precedenza[159] tanto che, nel non predeterminare il termine minimo per la presentazione dell’indagato al giudice del dibattimento o al GIP, ha lasciato che il PM potesse godere anche sotto l’egida del nuovo codice di uno spazio di tempo sufficiente per permettergli di collocare il procedimento al vaglio del giudice-persona fisica che ritenga maggiormente “opportuno”.

 

4. L’illegittimità dei giudizi direttissimi previsti dalle leggi speciali.

Con l’art. 233 disp. coord. c.p.p. il legislatore aveva stabilito con fermezza al primo comma la regola generale secondo la quale «sono abrogate le disposizioni di leggi o decreti che prevedono il giudizio direttissimo in casi, con forme o termini  diversi da quelli indicati nel codice», determinando il travolgimento delle disposizioni fino a quel momento introdotte nell’ordinamento relative ai giudizi direttissimi obbligatori, salvo i soli casi dei reati concernenti le armi e gli esplosivi e i reati commessi con il mezzo della stampa[160]. Nel 1990, una serie di procedimenti penali – concernenti proprio i giudizi direttissimi di cui sopra – vennero sospesi e rimessi in via incidentale al giudizio della Corte costituzionale, che li riunì e assunse la decisione con la sentenza Zanoni del 1991[161]. Le ordinanze di rimessione denunciavano il secondo comma dell’art. 233 norme coord. c.p.p. per violazione degli artt. 3, 24 e 76 Cost., essendo stato violato il principio di uguaglianza e il principio di difesa[162] e, in particolare, il perimetro della delega legislativa[163].

La Corte ha dichiarato allora fondate le questioni di legittimità poste dai giudici rimettenti, sull’assunto innegabile che «il n. 43 dell’art. 2 della legge-delega (…) rivela il preciso intento di mantenere l’adozione del giudizio direttissimo entro confini nettamente circoscritti, tali da non consentire al legislatore delegato di superarli con l’aggiunta di ipotesi esulanti dai paradigmi ivi descritti, salvo incorrere in un eccesso di delega contrastante con l’art. 76 della Costituzione»[164], con conseguente declaratoria di incostituzionalità della norma sottoposta al suo esame e riduzione dell’art. 233 delle norme di coordinamento al solo primo comma, con l’effetto di produrre l’illegittimità costituzionale delle norme extra-codicistiche in materia di giudizio direttissimo ratione materiae.

Tuttavia, tale decisione non ha sortito alcun effetto e nemmeno costituito un freno per il legislatore successivo[165], il quale di fronte alla nuova emergenza terroristica dei primi anni Novanta  del secolo scorso ha nuovamente introdotto il giudizio direttissimo in materia di armi ed esplosivi con l’art. 12-bis, l. 7 agosto 1992, n. 356, cedendo alla irresistibile tentazione di offrire all’opinione pubblica un «simbolo della credibilità della stessa funzione giurisdizionale penale»[166] e determinando un nuovo ritorno al passato e alla concezione che vedeva il giudizio direttissimo legato più all’ambito ratione materiae che all’evidenza probatoria, oltre che a una funzione acceleratoria della punizione e della sua esemplarità, piuttosto che del dibattimento. Peraltro, il medesimo legislatore si è ulteriormente spinto su questa linea introducendo ulteriori ipotesi di nuovi giudizi direttissimi obbligatori, previsti oggi in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa[167], di immigrazione[168] e di comportamenti violenti in occasione di manifestazioni sportive[169].

Un ulteriore profilo di illegittimità dei giudizi direttissimi previsti dalle leggi speciali riguarda l’esercizio del diritto di difesa, in particolare nel caso di notifica a comparire all’udienza, senza che sia stato previamente esperito l’interrogatorio dell’indagato o imputato, il quale potrà essere citato a comparire all’udienza se si trova a piede libero.  La questione è di notevole rilievo pratico, stante il fatto che al soggetto citato a comparire all’udienza in tempi decisamente ristretti (minimo di soli tre giorni) l’art. 450, comma 2, c.p.p. non consente di avere il tempo di nominare il difensore e di discutere con questi della migliore strategia difensiva da adottare ed eventualmente della preparazione degli elementi da sottoporre al giudice del dibattimento ai fini di respingere la richiesta del PM di procedere al rito direttissimo atipico[170].

 

5. Le problematiche legate alle ipotesi di flagranza assimilata.

La flagranza[171], requisito tradizionale del giudizio direttissimo contestuale, è un istituto del diritto processuale penale per il quale, come per tutti gli istituti di politica criminale, è lo stesso legislatore che, al ricorrere di taluni fatti di cronaca, ha snaturato l’istituto originariamente delineato per sopperire a una richiesta di intervento da parte della collettività. Infatti, alla flagranza propriamente detta (deprehensio in ipsa perpetratione facinoris), il legislatore estende le ipotesi di «flagranza assimilata» o «flagranza impropria» («flagranza permanente»[172], «quasi flagranza»[173] e «flagranza differita»[174]) che, secondo autorevole dottrina, potrebbero costituire oggetto di dichiarazione di  illegittimità costituzionale, in quanto l’art. 2, comma 1, n. 32, l. n. 81 del 1987 non pare infatti estendere il concetto di flagranza ai fenomeni di flagranza assimilata[175] e da ciò potrebbe derivare la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 382 c.p.p. e delle disposizioni di legge relative a tali istituti per eccesso di delega[176].

Oltre alla illegittimità ex se che caratterizza il concetto stesso di «flagranza assimilata», preme concentrare l’attenzione sul fatto che le maggiori problematiche concernono in particolare l’istituto della «flagranza differita», ossia della misura adottata dalla PG quando non è possibile procedere immediatamente all’arresto dell’indagato per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica. Sulla base di tale impostazione, l’indagato si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell’art. 382 c.p.p. quando, sulla base di documentazione video-fotografica[177] dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta essere l’autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le trentasei ore dal fatto, previsto sia per i reati commessi in occasione delle manifestazioni sportive sia per quelli commessi nei centri di accoglienza in senso lato[178]. A prescindere dalla discutibile accostabilità della nozione di «flagranza» con quella di «ritardo» – la quale rappresenta un evidente ossimoro – si deve dal punto di vista giuridico considerare come tale disposizione si sia esposta – e rimane tuttora soggetta – a un contrasto dottrinale relativo alla sua legittimità ai sensi dell’art. 13 Cost., il quale escluderebbe che possa aver luogo una dilatazione temporale fino a trentasei ore dal fatto che realizzato; ciò costituirebbe una negazione implicita della sussistenza dell’eccezionale urgenza nel provvedere, in quanto le ragioni di eccezionale necessità ed urgenza, secondo i canoni costituzionali, non possono sussistere se non si conoscono con precisione né gli elementi costitutivi del fatto di reato, né il suo autore; se per colmare tali lacune è necessario ricorrere a documentazioni video-fotografiche[179], si deve dunque concludere che tale le disposizioni che prevedono tale istituto non possono che costituire un «aggiramento delle garanzie costituzionali»[180]. L’orientamento opposto, invece, dando una lettura diversa dell’art. 13, comma 3, Cost. ritiene che l’istituto dell’arresto differito sarebbe compatibile con l’art. 13 Cost., perché, da un lato, l’eccezionalità di una situazione di necessità e urgenza è richiamata in modo esplicito dalla comprovata «impossibilità di procedere all’arresto nell’immediatezza per ragioni di sicurezza o di incolumità pubblica e, dall’altro, il riferimento legislativo ad una documentazione fotografica (…) a supporto dell’identificazione dell’autore appare rispettosa del vincolo di tassatività delle condizioni legittimanti l’arresto, contenuto nell’art. 13 Cost.»[181]. A quest’ultimo orientamento aderisce anche la giurisprudenza di legittimità[182] e, apparentemente, anche la giurisprudenza costituzionale[183].

 

6. Le questioni relative al principio di uguaglianza: il trattamento dello straniero irregolare.

Con un distinto ordine di questioni, occorre verificare se il giudizio direttissimo sia pienamente in linea anche rispetto al principio di uguaglianza, posto che questo richiede che le distinzioni nel trattamento di soggetti diversi debbano essere ammesse soltanto se non si risolvano in discriminazioni arbitrarie e che l’applicazione di tale principio si deve fondare su criteri ragionevoli, capaci di giustificare la diversità di disciplina[184]. Nonostante le critiche mosse finora, il rito direttissimo è stato quasi sempre salvato dalla Corte costituzionale, la quale ha affermato ripetutamente come tali questioni afferiscano a «un problema di scelta legislativa, come tale rimesso al legislatore ordinario, il quale può razionalmente prescindere dallo schema tradizionale sulla base di specifiche valutazioni di politica criminale, senza che ciò incida affatto sul diritto di difesa che ben potrà essere esercitato nel dibattimento in tutta la sua pienezza»[185]; la Consulta, preferendo non interferire con le scelte compiute dal legislatore ed evitando di esercitare un controllo troppo penetrante sul potere legislativo[186], è dovuta scendere allora a un difficile compromesso, dato dal bilanciamento tra il principio di uguaglianza e le esigenze di celerità non sempre rispondenti ai canoni costituzionali[187] (esigenze che, quantomeno nelle intenzioni, il legislatore del 1988 non intendeva recepire con l’adozione del nuovo codice di procedura penale[188]). Con riguardo al principio di uguaglianza, la Corte costituzionale ha ritenuto necessario dichiarare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni concernenti il rito de quo solamente con una decisione del 2004[189]. In particolare la Consulta è intervenuta sull’art. 14, comma 5-quinquies, t.u. imm., il quale, per i reati di ingiustificata permanenza sul territorio nazionale dello straniero o nel suo successivo re-ingresso dopo l’ordine di espulsione del questore, prevedeva l’obbligatorietà dell’arresto dell’instaurazione del rito direttissimo, con l’annesso “trattenimento” dello straniero in apposite strutture in attesa dell’espulsione. La norma dichiarata incostituzionale veniva giudicata contrastante sia con il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. – stante la dichiarata impossibilità, per il legislatore, di prevedere la misura dell’arresto obbligatorio per un reato di natura contravvenzionale[190] – che del principio di inviolabilità della libertà personale ex art. 13 Cost., in ragione del fatto che la misura precautelare prevista dall’art. 14, comma 5-quinquies non fosse finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo e, come tale, avrebbe prodotto una illegittima limitazione provvisoria della libertà personale[191]. Sul punto è intervenuta anche l’allora Comunità europea con la direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008 recante «norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare», i cui artt. 15 e 16[192] sono stati ritenuti in contrasto con la disciplina dell’art. 14 t.u. imm. Non avendo la Stato italiano recepito la direttiva nel termine assegnatogli (entro il 24 dicembre 2010) si è registrato un contrasto in giurisprudenza in ordine alla efficacia c.d. selfexecuting della direttiva, al culmine del quale è stato sollevato di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea il rinvio pregiudiziale d’urgenza di interpretazione degli artt. 15 e 16 della direttiva citata. La Corte di Giustizia, con la decisione El Dridi del 2011[193], ha stabilito che la direttiva n. 115 del 2008 deve essere interpretata «nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro (…) che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo», sulla motivazione che: (i) il secondo e il sedicesimo considerando della direttiva n. 115 del 2008 richiedono che la politica in materia di allontanamento e rimpatrio deve essere basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità[194]; (ii) il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l’allontanamento e se l’uso di misure meno coercitive è insufficiente[195]; (iii) la normativa nazionale non possa prevedere misure più severe rispetto a quelle previste dalla direttiva[196], nonostante questa non venga recepita[197]; (iv) gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena detentiva solo perché un cittadino di un Paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. Dopo la sentenza El Dridi, con il d.l. 23 giugno 2011, n. 89 , conv. con modif. dalla l. 2 agosto 2011, n. 129, è stata espunta l’ipotesi di giudizio direttissimo obbligatorio previsto per l’inottemperanza dell’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale, figura «protagonista delle aule giudiziarie per circa un decennio»[198].

 

7. Lo stato di emergenza consente deroghe al principio di legalità processuale?

A causa della emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da COVID-19 era possibile (rectius, fortemente consigliato) che il procedimento relativo all’arresto in flagranza e del contestuale giudizio direttissimo fosse instaurato e svolto in modalità telematica, per mezzo della realizzazione di un’udienza che, pur smaterializzata, di fatto ponesse in comunicazione diretta i protagonisti del processo. Tale modalità era contemplata con riferimento ai procedimenti di convalida dell’arresto o del fermo o dell’ordine di allontanamento immediato dalla casa familiare, e ai procedimenti in cui erano applicate misure di sicurezza detentive o fosse pendente la richiesta di applicazione di misure di sicurezza detentive[199], nonché per le udienze penali che non richiedevano la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice[200]. Il luogo da cui l’imputato si collegava in audiovisione, per espressa previsione di legge[201], era «equiparato all’aula di udienza», equiparazione che avveniva nel momento in cui risultava attivato

un collegamento audiovisivo la cui idoneità era tuttavia accertata non già dal legislatore o dal Ministero della giustizia, bensì dalla Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati, ossia un organo amministrativo, in evidente dissonanza rispetto a quanto previsto dall’art. 111, comma 1, Cost. sul principio di legalità processuale[202]. Peraltro, sempre in concomitanza dell’emergenza sanitaria, i presidenti dei tribunali di provincia o dei capoluoghi di regione, la procura della Repubblica presso detti tribunali, l’Ordine degli avvocati e l’Unione delle camere penali della relativa circoscrizione avevano sottoscritto dei protocolli di intesa, ossia degli accordi raggiunti tra le parti, affinché queste fossero state a conoscenza fin dal principio delle modalità tecniche della instaurazione telematica dell’udienza di convalida dell’arresto e dell’eventuale svolgimento del contestuale giudizio direttissimo. Benché essi costituissero uno strumento idoneo a intensificare la partecipazione dei protagonisti del processo, occorre ribadire come il principio costituzionale della legalità processuale prima citato non consenta, nemmeno in situazioni di emergenza, che le forme degli atti processuali penali avvenga per mezzo di “intese” tra giudici, pubblici ministeri e avvocati[203]. Pur considerando che siffatta modalità ha avuto il pregio di aver contribuito a non incrementare il numero dei contagi da COVID-19, è indubbio che in una situazione di normalità tale modalità di celebrazione dell’udienza di convalida e del giudizio direttissimo può costituire un innegabile affronto alla disciplina costituzionale ed europea del giusto processo in quanto «cancellazione dell’idea stessa di processo penale»[204].

 

8. Conclusioni.

Alla fine di questa disamina sul giudizio direttissimo e confrontandomi con diversi cultori della procedura penale sul tema ci si è chiesti se, nonostante i molti profili di criticità e in considerazione del semplificato quadro probatorio che lo contraddistingue, tale procedimento speciale dovesse essere ancora accolto nel nostro ordinamento processuale. Dal mio punto di vista la semplificazione probatoria è un buon punto di partenza per una riflessione volta al mantenimento del giudizio direttissimo nel novero dei procedimenti speciali previsti dal codice di procedura penale, ma non certo un punto di arrivo. L’evidenza probatoria – per quanto essa possa essere concludente – non è di per sé sufficiente a legittimare la semplificazione delle garanzie dell’imputato di rango primario o a giustificare un trattamento processuale differente per l’imputato colto in flagrante o reo confesso rispetto a quello che, essendo coinvolto in differenti frangenti processuali, sia considerato di fatto “più presunto non colpevole”.

 

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Un ringraziamento speciale a Valentina Racanati, assistente di cattedra del corso di «mediazione civile e commerciale» dell’Università degli studi di Milano-Bicocca, competente traduttrice, nonché amica.

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[1] A. De Caro, Il giudizio direttissimo, Napoli, 1996, p. 19-20.

[2] L’art. 76 Cost. stabilisce come è noto che «l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti».

[3] A. Gaito, L’adattamento del diritto interno alle fonti europee, in Aa. Vv., Procedura penale, Torino, 2019, p. 49, il quale definisce le norme c.d. interposte anche «sub-costituzionali».

[4] Ai sensi dell’art. 449, commi 1, 3, 4 e 5 quarto periodo, c.p.p. la convalida dell’arresto in flagranza o dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare costituiscono uno dei presupposti per l’instaurazione del giudizio direttissimo «contestuale».

[5] Cfr. A. Gaito, L’adattamento del diritto interno alle fonti europee, cit., p. 44 ss.

[6] L’art. 27, comma 2, Cost., come noto, recita che «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Il principio della presunzione di innocenza è stato di recente rafforzato dalla direttiva (UE) 2016/343, la quale è stata recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188 che, tra l’altro, ha inserito l’art. 115-bis, comma 2, c.p.p. il quale obbliga il giudice «nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato, che presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza, [a limitare] i riferimenti alla colpevolezza della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento».

[7] L’imputato sottoposto al giudizio direttissimo è soggetto al c.d. strepitus fori, ossia una forma non gradita di pubblicità dell’udienza, che inevitabilmente gli comporta il sostenimento di costi di natura economica e morale. Si veda, in particolare, infra § 3. e, in dottrina, V. Fanchiotti, Politica criminale e giudizio direttissimo, Milano, 1980, p. 80-81, M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, Padova, 2015, p. 85 e A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, Milano, 2013, p. 21.

[8] Nello stesso senso si veda A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 19.

[9] Artt. 449, commi 1, 2, 3, 5 quarto periodo, c.p.p., e 558, commi 1 e 2, c.p.p.

[10] Art. 450, comma 2, c.p.p.

[11] In linea generale, la giurisprudenza di legittimità ha inteso limitare i profili di responsabilità in capo al pubblico ministero che instauri il rito in assenza dei presupposti legittimanti: si vedano, ad esempio, Cass., sez. VI, 13 maggio 1999, n. 6864, Trovato, in Guida dir., 1999, XXVIII, p. 82, Cass., sez. V, 15 giugno 1992, n. 8419, Carozza, in CED Cass., 1992, Cass., sez. I, 9 novembre 1988, Salvato, in Giust. pen., 1989, III, p. 339 mentre contra App. Milano, sez. I, 22 settembre 1998, in Foro Ambrosiano (Il), 1999, p. 318, m. 174.

[12] L’art. 60 c.p.p. prevede che «assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato (…) nel giudizio direttissimo».

[13] Trib. Cremona, ord. 22 maggio 2000, Makni Jamel, in Cass. pen., II, 2001, p. 674, m. 352 con nota di F. Nuzzo, L’avviso di conclusione delle indagini preliminari ovvero una garanzia incompiuta per l’inquisito, ivi.

[14] F. Nuzzo, L’avviso di conclusione delle indagini preliminari ovvero una garanzia incompiuta per l’inquisito, cit., par. 4.

[15] M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 77.

[16] C. cost., ord. 19 novembre 2002, n. 460, in Sito Ufficiale della Corte costituzionale, con  nota di G. Leo, La Corte costituzionale puntualizza vari aspetti del procedimento che culmina con l’ordine giudiziale di formulare l’imputazione, in Diritto penale contemporaneo, Milano, 2012. La Corte motiva tale assunto sulla base dell’anomalo “controllo” dell’indagato in vista di un’eventuale richiesta di archiviazione, «non soltanto del tutto superfluo nel quadro delle garanzie che il sistema deve approntare, ma addirittura ‘anticipato’ rispetto allo specifico scrutinio riservato al giudice per le indagini preliminari». Nello stesso senso C. cost., ord. 26 novembre 2002, n. 490, ivi. In un’altra occasione, la medesima Corte ha statuito che tale «onere a carico del pubblico ministero non mira a dare attuazione al diritto di difesa, ma si innesta sulla natura di parte pubblica dell’organo dell’accusa e sui compiti che il pubblico ministero è chiamato ad assolvere nell’ambito delle proprie determinazioni al termine delle indagini (…), che continuano a sostanziarsi (…) nell’alternativa tra la richiesta dell’archiviazione e l’esercizio dell’azione penale» (C. cost., ord. 19 novembre 2004, n. 349, in Giur. cost., VI, 2004, p. 3904, con nota di S. Ciampi, L’avviso di conclusione delle indagini nel rito penale davanti al giudice di pace: notazioni critiche su due recenti pronunce della Corte costituzionale, ivi.). Cfr. nella giurisprudenza ordinaria Cass., sez. IV, 2 dicembre 2003, Abbondanza, n. 4849, in Guida dir., 2004, XVIII, p. 88 e, in dottrina, N. Mennuni, L’avviso di conclusione delle indagini preliminari in procedimenti alternativi, in Dir. pen. proc., 2002, p. 606 ss. e A. Ciavola, La perentorietà dei tempi di indagine rende “ragionevole” la disciplina del rito direttissimo, anche se “atipico”, in Cass. pen., 2007, IV, p. 1530.

[17] C. cost., ord. 28 giugno 2004, n. 201, in Giur. cost., 2004, p. 3.

[18] Il codice di procedura penale prevede che l’imputato possa accedere ai riti premiali ai sensi degli artt. 446, comma 1, 451, comma 5, 452, comma 2, e 464-bis, comma 1, c.p.p. Tuttavia, tale accesso è fortemente limitato e condizionante rispetto a quanto avviene nel processo penale ordinario: si veda infra § 2.4.

[19] Non è affatto inusuale che nella prassi accada che i difensori debbano “chiedere” al PM di visionare il fascicolo contenente gli atti di indagine poco prima della celebrazione dell’udienza, mentre l’indagato arrestato è rinchiuso nella cella. Addirittura, è talvolta capitato che, in occasione di un arresto intervenuto nella prima mattinata, gli atti del fascicolo del PM e del giudice della convalida e del dibattimento fossero pervenuti ai medesimi soltanto nel primo pomeriggio, a udienza già instaurata.

[20] Si veda, a titolo di esempio, Cass., sez. VI, 19 febbraio 2019, n. 14129, in CED Cass., 2019.

[21] Il controllo preliminare di cui all’art. 452, comma 2, c.p.p. consente al giudice del dibattimento di consultare atti di indagine ai fini della promovibilità di giudizio direttissimo. Ciò produce l’inevitabile “effetto collaterale” che il medesimo organo giudicante maturi l’idea di una condanna già prima che venga celebrato il dibattimento. Si veda infra § 3.1.

[22] Con riguardo all’ordinamento statunitense, il V emendamento della Costituzione americana stabilisce che «nessuno sarà tenuto a rispondere per un reato capitale o altrimenti infamante, se non su denuncia o accusa di un Gran giurì». Si veda in dottrina E. Amodio, M. Cherif Bassiouni (a cura di), Il processo penale negli Stati Uniti d’America, Milano, 1988, p. 119-120 e M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 85, n. 35. Sottolinea l’importanza del preliminary hearing anche P. Moscarini, “Accusatorietà” del processo penale e giudizio direttissimo, in Cass. pen., 2010, X, p. 273.

[23] Come rilevato da A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 20, n. 48 e coerentemente con quanto affermato nella nota precedente, il rito direttissimo nel modello anglosassone è sconosciuto in relazione ai delitti più gravi (per i quali è prevista l’udienza preliminare) mentre è utilizzato nel processo di fronte alle magistrates’ courts (il giudice di pace), che possono irrogare «fino a sei mesi per un solo reato e fino a venti mesi per più reati».

[24] C. cost., 11 marzo 1993, n. 82, in Giur. cost., 1993, p. 748, la quale peraltro considera che tale udienza consenta la conclusione del procedimento con una sentenza di non luogo a procedere e che, per questo, svolga anche una funzione di economia processuale: «é aspetto che non interferisce con [il diritto di difesa,] rappresentandone, semmai, il naturale corollario: a fronte della domanda di giudizio infondata, infatti, sta anzitutto l’esigenza di assicurare il pronto ristoro dei diritti dell’inquisito, e non certo quella, secondaria e conseguenziale, di impedire una superflua prosecuzione dell’attività processuale».

[25] C. cost., 3 dicembre 2010, n. 353, in Giur. cost., 2010, VI, p. 4933, la quale rileva che «non potendo tale lesione consistere nella privazione del diritto per quest’ultimo di vedere accertata la propria responsabilità con regolari indagini e, occorrendo, con il vaglio dell’udienza preliminare, che, quindi, gli sarebbe arbitrariamente sottratta».

[26] C. cost., 12 dicembre 1972, n. 172, in Consulta online (https://www.giurcost.org/decisioni/1972/0172s-72.html).

[27] C. cost., 2 giugno 1983, n. 164, in Giur. cost., 1983, I, p. 915, la quale motiva tale assunto sulla base che «non sussiste un interesse dell’imputato, costituzionalmente protetto, a che il riconoscimento della sua innocenza avvenga in una fase anteriore al dibattimento».

[28] Trib. Verona, 24 marzo 2005, n. 296, in G.U., I^ serie speciale, 8 giugno 2005, n. 23.

[29] C. cost., ord. 12 giugno 2007, n. 187, in Giur. cost., 2007, p. 3.

[30] L. 23 maggio 2008, n. 92.

[31] L. 15 ottobre 2013, n. 119.

[32] M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 87-88.

[33] A. Gaito, Introduzione allo studio del diritto processuale penale alla luce dei principi costituzionali, in Aa.Vv., Procedura penale, Torino, 2019, p. 21.

[34] L’art. 431, commi 1 e 2, c.p.p. stabilisce che «immediatamente dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio, il giudice provvede nel contraddittorio delle parti alla formazione del fascicolo per il dibattimento (…) le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva».

[35] G. Garuti, L’udienza preliminare, in Aa. Vv., Procedura penale, Torino, 2019, p. 513.

[36] La formazione del fascicolo del dibattimento nel giudizio per direttissima avviene prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 450, comma 4, c.p.p. («il fascicolo previsto dall’articolo 431, formato dal pubblico ministero, è trasmesso alla cancelleria del giudice competente per il giudizio»), ovvero dopo la convalida dell’arresto, ai sensi dell’art. 138 norme att. c.p.p. («in tutti i casi di giudizio direttissimo con imputato in stato di arresto o di custodia cautelare, il pubblico ministero forma il fascicolo per il dibattimento a norma dell’articolo 431 del codice (…) quando l’imputato è presentato davanti al giudice del dibattimento per la convalida dell’arresto e il contestuale giudizio, il fascicolo medesimo è formato subito dopo il giudizio di convalida dal pubblico ministero presente all’udienza»).

[37] In particolare si veda infra § 3.1.

[38] M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 57 ss. e A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 22-23.

[39] Cass., sez. V, 10 gennaio 2007, n. 19473, Pronestì, in Cass. pen., 2008, V, p. 1990, m. 626 con nota di S. Cervetto, Il vizio conseguente alla formazione sine partibus del fascicolo dibattimentale: una nullità fine a se stessa?, ivi, 1992. Con questa decisione, la Corte ha motivato detto principio «considerato che l’udienza di cui all’art. 431 c.p.p. non comporta preclusioni di sorta e non pregiudica in alcun modo le esigenze della difesa, in quanto tutte le questioni in essa proponibili possono essere riproposte nella fase preliminare del dibattimento, ex art. 491 c.p.p. (…) e comunque l’eventuale erroneo inserimento di un atto assunto in violazione di specifici divieti probatori non preclude l’eccezione in ordine all’inutilizzabilità dell’atto a fini di prova, la quale è sempre rilevabile, anche d’ufficio, ex art. 191 c.p.p.».

[40] Si vedano le decisioni del Supremo Collegio citate infra in questo paragrafo.

[41] Si veda l’art. 6, § 3, lett. b) e c), C.E.D.U. sul diritto di ogni accusato di «disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa [e di] difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta», così come l’art. 14, comma 3, lett. b) e d), P.i.d.c.p. sul diritto di ogni individuo accusato di un reato «a disporre del tempo e dei mezzi necessari alla preparazione della difesa ed a comunicare con un difensore di sua scelta [e] ad essere presente al processo ed a difendersi personalmente o mediante un difensore di sua scelta».

[42] A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 130-131.

[43] Con Cass., sez. un., 30 settembre 2010, n. 36212, Gemeanu, in Cass. pen., 2011, III, p. 883, m. 286.1, nota di M. Antinucci, Verso la piena effettività del diritto dell’arrestato alla conoscenza degli atti in tempo reale, in Giur. it., 2011, V, p. 1164, le Sezioni unite della Cassazione hanno stabilito che «il difensore dell’arrestato o del fermato ha diritto, nel procedimento di convalida, di esaminare ed estrarre copia degli atti su cui si fonda la richiesta di convalida e di applicazione della misura cautelare» e che l’eventuale «denegato accesso a tali atti determina una nullità di ordine generale a regime intermedio dell’interrogatorio e del provvedimento di convalida, da ritenersi sanata se non eccepita nel corso dell’udienza di convalida». L’autore, annotando la sentenza citata, aggiunge in particolare che «quando sono in ballo i diritti costituzionali e sovranazionali della persona, il formalismo e la fretta non possono mai fare aggio sulla sostanza: il diritto dell’indagato alla conoscenza, e quindi alla ‘disponibilità’, (…) di tutti gli atti del procedimento penale a suo carico (…) – collegati alla (e/o presupposti dalla) concreta scelta operativa del PM – si pone come antecedente logico necessario a garantirne la consapevole partecipazione, funzionale all’effettivo esercizio del diritto di difesa da assicurarsi in ogni stato e grado del procedimento». Si veda in dottrina anche M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 99.

[44] A. De Caro, Il giudizio direttissimo, cit., p. 163. Tuttavia, si deve criticare tale impostazione, sulla base del fatto che sarebbe di dubbia praticabilità ancorare il dies a quo ad un fenomeno di cui non è ben chiaro quali siano gli indici esterni rilevatori (così A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 131).

[45] A. Ruggiero, F. Giunchedi (a cura di), voce «Art. 450 c.p.p.», in Cod. proc. pen. commentato, 2020, par. 5.

[46] In tal senso si veda la dottrina citata nelle note precedenti.

[47] Cfr. A. De Caro, Il giudizio direttissimo, cit., p. 161, note 162 e 163 per le decisioni rese durante il periodo di vigenza del vecchio codice, mentre si veda A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 131 per le decisioni assunte durante il periodo di vigenza dell’attuale codice (seppur non tutte recenti), i quali richiamano Cass., sez. II, 7 maggio 1992, Zagari e altri, in Mass. pen. Cass., 1993, VI, p. 54, con la quale la Cassazione ha ritenuto valido un avviso pervenuto nel pomeriggio del giorno precedente la data fissata per l’udienza. Si veda, peraltro, M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 107, n. 105, il quale, richiamando P. Gaeta, Giudizio direttissimo, in Enc. Dir., IV, 2000, p. 636 ss., ritiene questa si tratta di una indebita «compensazione di garanzia».

[48] L’art. 149 c.p.p. stabilisce che «nei casi di urgenza, il giudice può disporre, anche su richiesta di parte, che le persone diverse dall’imputato siano avvisate o convocate a mezzo del telefono a cura della cancelleria [che] alla comunicazione si procede chiamando il numero telefonico corrispondente [al domicilio eletto, alla casa di residenza o di esercizio abituale della professione o di temporanea dimora del destinatario o di chi ne fa le veci] essa non ha effetto se non è ricevuta dal destinatario ovvero da persona che conviva anche temporaneamente col medesimo (…) la comunicazione telefonica ha valore di notificazione con effetto dal momento in cui è avvenuta, sempre che della stessa sia data immediata conferma al destinatario mediante telegramma».

[49] Cass., sez. un., 30 ottobre 2002, n. 39414, Arrivoli, in Cass. pen., IV, 2003, p. 1284, m. 383 con nota di A. Bassi, Un ulteriore passo in avanti nella semplificazione degli avvisi urgenti al difensore, ivi, p. 1285. La decisione richiama, in particolare, Cass., sez. un., 12 ottobre 1993, n. 23, Morteo, in CED Cass., 1994 secondo la quale, pur essendo ammessi mezzi di comunicazioni atipici, questi ultimi valgano a derogare alla disciplina prevista dall’art. 149 c.p.p. solo quando procurino una conoscenza «effettiva» dell’avviso.

[50] In tal senso, si è ritenuto che l’eventuale guasto dell’apparecchiatura del difensore graverebbe esclusivamente su questi e che non inciderebbe in alcun modo sulla ritualità dell’avviso comunicato (Cass., sez. un., 30 ottobre, 2002, n. 39414, Arrivoli, cit.).

[51] Cass., sez. I, 29 novembre 2005, n. 1384, in Riv. pen., 2007, I, p. 102. In tale fattispecie, il difensore si era comunque costituito nei termini.

[52] Cass., sez. IV, 11 luglio 2012, n. 30984, Caffo, in CED Cassazione penale, 2012, con nota R. Montanile, È sufficiente un sms per comunicare al difensore la data dell’udienza di convalida dell’arresto o del fermo?, in Dir. pen. proc., 2012.

[53] Cass., sez. IV, 19 gennaio 2005, n. 12252, Stramaglia, in Arch. nuova proc. pen., 2006, II, p. 231.

[54] Cass., sez. IV, 29 settembre 2003, n. 43704, Cappellini, in Guida dir., 2004, VI, p. 65.

[55] Cass., sez. VI, 28 febbraio 2001, n. 10508, Nallo, in Riv. cancellerie, 2001, p. 401.

[56] Cass., sez. VI, 10 febbraio 2017, n. 15545, in Rivista DeJure, 2017. Sul ruolo della posta elettronica certificata ai fini dell’avviso di cui all’art. 450, comma 5, c.p.p. si veda I. Ciarniello, Giudizio direttissimo, in G. Lattanzi, E. Lupo, Procedimenti speciali, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, VI, Milano, 2017, p. 599, la quale rileva che «va dato conto del fatto che il d.l. [18 ottobre 2012 n. 179, conv. con modif. dalla l. 17 dicembre 2012 n. 221] ha previsto l’uso della posta elettronica certificata per le notifiche al difensore (o all’imputato nel caso in cui la notifica debba essere effettuata presso il difensore). La PEC, in quanto certificabile, rientra fra i mezzi tecnici ‘idonei’ di cui all’art. 148 comma 2-bis c.p.p.» e richiama in tal senso Cass., sez. II, 16 settembre 2015, n. 50316, in CED Cass., 2015. In senso conforme alla decisione citata si veda Cass., sez. VI, 13 ottobre 2016, n. 51348, ivi, 2016.

[57] Cass., sez. II, 28 settembre 2020, n. 26981, in Rivista DeJure, 2020 la quale richiama Cass., sez. un., 6 luglio 1990, Scarpa. Si veda in tal senso anche Cass., sez. III, 2 marzo 2011, n. 17418, Meta, in Cass. pen., 2012, V, p. 1807 m. 620 sul mandato al sostituto nominato dal difensore di fiducia per la sola eccezione della tardività dell’avviso di fissazione dell’udienza.

[58] Cass., sez. VI, 16 novembre 2010, n. 42155, in Guida dir., 2011, XIV, p. 72, con nota di A. E. Ricci, L’avviso di fissazione dell’udienza di convalida tra esigenze di speditezza e garanzie difensive, in Proc. pen. gius., 2011, II, p. 59. Si veda inoltre M. Brazzi, La difesa dell’indagato nella fase precautelare, Milano, 2017, p. 162, n. 15 e M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 99, n. 82.

[59] Cass., sez. VI, 27 aprile 1991, Morico, in Riv. pen., 1992, p. 997, la quale ritiene valida una tentata notificazione al difensore di fiducia alle ore 20:45, con studio chiuso e in assenza di persone idonee a riceverlo.

[60] Cass., sez. IV, 14 marzo 2001, n. 22021, Giustini, in Cass. pen., 2002, III, p. 1057, m. 280.

[61] Con Cass., sez. V, 27 novembre 2017, n. 11977, in CED Cass., 2018 la Suprema Corte ha stabilito che «è affetto da nullità assoluta, per inidoneità dell’atto a conseguire il suo scopo, l’avviso di fissazione dell’udienza per la convalida dell’arresto eseguito nei confronti del difensore in tempi talmente ridotti (nella specie mezz’ora prima) da far ragionevolmente presumere l’oggettiva impossibilità della sua partecipazione informata all’udienza stessa». Nello stesso senso Cass., sez. IV, 3 dicembre 2014, n. 3820, in Cass. pen., 2015, VI, p. 2351, m. 303. Con Cass., sez. V, 13 dicembre 2004, n. 1760, Cerenza, in Riv. pen., 2006, V, p. 575 si è ritenuto che «l’omesso avviso al difensore di fiducia della udienza fissata per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo è sanzionato con la nullità assoluta; né a tal fine rileva la circostanza che in sede di udienza l’imputato abbia revocato la nomina del difensore di fiducia e sia stato assistito da un difensore d’ufficio, posto che detta revoca è irrilevante ai fini della sussistenza della nullità, già verificatasi anteriormente alla revoca». Cass., sez. II, 25 giugno 1997, Magliozzi, in Guida dir., 1998, IV, p. 81 ha ritenuto che «la celebrazione del giudizio direttissimo non preceduta dall’avviso al difensore di fiducia determina nullità assoluta e insanabile dell’intero procedimento per violazione del diritto di difesa, a nulla rilevando la presenza e l’assistenza, nel giudizio, del difensore d’ufficio».

[62] Nello stesso senso S. Allegrezza, La nuova fisionomia del giudizio direttissimo, Milano, 2008, p. 257 ss.

[63] Cass., sez. un., 30 settembre 2010, Gemeanu, n. 36212, cit.

[64] M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 94.

[65] Si tenga a mente che nel caso di giudizio direttissimo entro i trenta giorni dalla convalida il difensore sarebbe probabilmente il medesimo che abbia partecipato all’udienza di convalida e che, dunque, abbia contezza dei fatti per i quali il PM instaurerebbe il direttissimo. Nello stesso senso M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 97.

[66] La citazione dell’imputato libero a comparire all’udienza del giudizio direttissimo avviene ai sensi dell’art. 450, comma 2, c.p.p. Quest’ultima contiene infatti l’esposizione dei fatti che generalmente riguardano l’imputazione, la quale non è invece prevista nel «decreto di presentazione» previsto dall’art. 450, comma 5, c.p.p.

[67] Secondo i database dell’Istat, i giudizi direttissimi instaurati nei confronti di chi avrebbe commesso il delitto ex art. 385 c.p. sono stati in esponenziale crescita rispetto a tutti i giudizi direttissimi instaurati (dal 5,75% nel 2011 all’8,57% nel 2017). Peraltro, detti giudizi direttissimi costituiscono mediamente il 40% dei rinvii a giudizio per detto reato.

[68] Cass., sez. VI, 26 febbraio 2020, n. 9777, in Redazione Giuffrè, 2020. Nello stesso senso si veda Cass., sez. VI, 25 gennaio 2011, n. 3410, in Cass. pen., 2012, IX, p. 3007, m. 1025. Si veda anche Cass., sez. VI, 5 luglio 2017, n. 41783, in Guida dir., 2017, 40, p. 45, la quale ha ritenuto che «inoltre, non può affermarsi sussistere alcuna incompatibilità strutturale tra convalida/rito direttissimo e temporaneo impedimento dell’imputato arrestato. Il rito direttissimo, infatti, è per sé compatibile anche con l’assenza dell’imputato, essendo adottabile anche nei confronti di imputato in stato di libertà. Nè la assoluta contestualità tra convalida e giudizio (inteso come celebrazione del processo e decisione sull’imputazione) risulta essere elemento strutturale indispensabile: basti pensare alla fisiologica possibilità che l’arrestato, pur presente, chieda i termini a difesa e, in esito al loro decorso, eventuali riti alternativi. Infine, nessuna diversità va rilevata tra le fattispecie dell’impedimento legittimo e della volontà di sottrazione (nel caso di evasione), posto che sul piano sistematico vi è in entrambi i casi la situazione di una convalida di arresto con richiesta di rito direttissimo proposta in un contesto di urgenza, per la valutazione della legittimità dell’arresto, e tuttavia nella fisica assenza dell’imputato arrestato». Peraltro, secondo Cass., sez. I, 5 dicembre 2017, n. 6987, in Rivista DeJure, 2017.

[69] Cass., sez. V, 2 dicembre 2019, n. 2512, in Rivista DeJure, 2019, la quale, nella motivazione – oltre a richiamare Cass., sez. un., 18 gennaio 2018, n. 20569, Ksouri sulla differenza tra abnormità strutturale e innocua irregolarità, aderendo al secondo profilo riguardo alla restituzione degli atti al PM – ha stabilito, riguardo alla contestazione in udienza, che «l’effettiva conoscenza del procedimento va riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di ‘vocatio in iudicium’ [la Corte richiama in tal senso Cass., sez. un., 28 febbraio 2019, n. 28912, Innaro], provvedimento che mancherebbe nell’ipotesi in cui l’imputato non possa essere ‘presentato’ all’udienza, luogo deputato alla formale contestazione dell’accusa nel giudizio direttissimo contestuale alla convalida di cui all’art. 449 c.p.p., comma 1 e art. 558 c.p.p., commi 1 e 4».

[70] Istituto, quello del legittimo impedimento, sul quale non ci si intende soffermare più di quanto necessario alla trattazione dell’argomento in questa sede. A tal fine, ci si limita a richiamare quanto suggerito da M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 105, n. 101, il quale ritiene che in caso di legittimo impedimento dell’imputato ovvero del difensore il giudice debba applicare l’art. 420-ter c.p.p., rinviando la trattazione del processo ad altra udienza.

[71] Cass., sez. VI, 5 luglio 2017, n. 41783, cit., la quale ha in tal senso stabilito che «il legittimo impedimento che non permette la presenza fisica dell’arrestato in udienza, non è ostativo alla richiesta di convalida dell’arresto e contestuale giudizio direttissimo, ai sensi dell’art. 558 c.p.p., anche nell’ipotesi di allontanamento volontario dell’imputato determinato da evasione».

[72] Cass., sez. V, 26 maggio 2009, n. 24612, Incandela, in Cass. pen., 2010, VI, p. 2289, m. 629. Nello stesso senso si vedano Cass., sez. VI, 27 giugno 2018, n. 41598, in CED Cass., 2018 e Cass., sez. VI, 18 dicembre 2014, n. 53850, ivi, 2014, con nota di S. Gentile, L’assenza non è motivo ostativo alla validità dell’udienza di convalida e contestuale giudizio direttissimo, in Dir. e giust., 2015, I, p. 13. Si veda anche Cass., sez. III, 28 maggio 2008, n. 27128, Pape, in Cass. pen., 2009, VII-VIII, p. 3004, m. 915, la quale ha stabilito che la mancata comparizione dell’arrestato all’udienza è «evenienza contemplata dall’art. 391, commi 3 e 7 c.p.p., come richiamati dall’art. 449 c.p.p.».

[73] Cass., sez. IV, 31 ottobre 2002, n. 31134, Tassinari, in Cass. pen., 2004, IX, p. 2911, m. 958, la quale tuttavia pone come riserva che l’accusa non avanzi nessun’altra richiesta o, come richiede invece Cass., sez. I, 26 aprile 1996, n. 2646, Di Paolo, in CED Cass., 1996, il difensore non abbia aderito alla «astensione collettiva dalle udienze deliberata dall’associazione di categoria». Si veda anche Cass., sez. VI, 1° dicembre 2016, n. 3802, in Quotidiano giur., 2017, la quale ha ritenuto che «nelle ipotesi in cui l’arresto è stato convalidato, si procede immediatamente al giudizio direttissimo (art. 449, comma 4, c.p.p.), talché se l’imputato contro cui si procede a piede libero decide di non presenziare alle successive udienze, senza addurre legittimo impedimento, deve essere considerato assente (art. 420-bis, comma 3, c.p.p.) e non già contumace».

[74] Formula prevista dall’ultimo periodo dell’art. 111, comma 3, Cost., la quale è ripresa a livello europeo e internazionale dall’art. 6, § 3, lett. e), C.E.D.U. e dall’art. 14, § 3, lett. f),  P.i.d.c.p. Peraltro, si rammenta come gli Stati membri dell’Unione europea, tra cui la Repubblica italiana, abbia avuto l’obbligo di recepire la direttiva 2010/64/UE «sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali», trasposta in Italia con d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32.

[75] Art. 6, § 3, lett. a), C.E.D.U.

[76] Cass., sez. VI, 9 maggio 2014, n. 38791, in Cass. pen., 2015, XII, p. 4492, m. 556 con nota di F. Nicolicchia, L’interrogatorio dell’arrestato alloglotta: un cambio di rotta non più differibile, ivi, p. 4493. In senso conforme Cass., sez. I, 14 ottobre 2009, n. 41934, Elessi, in Cass. pen., 2010, IX, p. 3170, m. 963 e Cass., sez. VI, 25 gennaio 2011, n. 3410, cit. Si veda, contra, Cass., sez. V, 8 febbraio 2007, n. 10517, Touama, in Dir. pen. proc., 2007, p. 1502, con nota di G. Marando, Il diritto all’interprete nell’evoluzione giurisprudenziale, ivi, la quale aveva escluso che in detta ipotesi «si possa inscenare un valido giudizio di convalida adopera del tribunale».

[77] Cass., sez. VI, 24 ottobre 2013, n. 50105, in Cass. pen., 2014, X, p. 3369, m. 670. In realtà, i primi quattro paragrafi dell’art. 3 della direttiva stabiliscono che gli Stati membri assicurano che gli indagati o gli imputati che non comprendono la lingua del procedimento penale ricevano, entro un periodo di tempo ragionevole, una «traduzione scritta» di tutti i documenti che sono fondamentali per garantire che siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa e per tutelare l’equità del procedimento, ricomprendendo tra questi le decisioni che privano una persona della propria libertà, gli atti contenenti i capi d’imputazione e le sentenze, ma non i passaggi di documenti fondamentali che non siano rilevanti allo scopo di consentire agli indagati o agli imputati di conoscere le accuse a loro carico.

[78] Nello stesso senso si veda A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 68 e M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 105 ss., il quale ritiene peraltro che ciò sia più rischioso nel giudizio direttissimo davanti al giudice monocratico, stante il termine di quarantotto ore dall’arresto che dimezza le probabilità di reperire l’interprete rispetto al direttissimo instaurato ex art. 449 ss. c.p.p. entro novantasei ore dalla privazione della libertà personale.

[79] Per le ulteriori considerazioni sul tema del diritto dell’indagato/imputato all’assistenza gratuita dell’interprete si veda M. Brazzi, La difesa dell’indagato nella fase precautelare, cit., p. 204 ss.

[80] Cass., sez. un., 31 maggio 2000, n. 12, Jakani, in Cass. pen., 2000, XII, p. 3255, m. 1762. Da tale decisione emerge che, nel caso di specie, l’imputato non ignorasse la lingua italiana sulla base di «elementi concreti emergenti dal suo stesso comportamento processuale e non contestati dalla difesa». Le modalità di accertamento della lingua italiana nel processo avvengono secondo un’indagine di mero fatto a opera del giudice, il cui esito, se adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità. Tale regime si estende anche al procedimento cautelare, come rilevato in Cass., sez. un., 24 settembre 2003, n. 5052, Zalagaitis, in CED Cass., 2004. Entrambe le decisioni sono state confermate da Cass., sez. un., 26 giugno 2008, n. 36541, Akimenko, in Cass. pen., 2000, II, p. 480, m. 132.1 con nota di M. Bargis, Inammissibilità dell’impugnazione redatta in lingua straniera presentata da persona alloglotta, ivi, V, p. 2016.

[81] Art. 111, comma 3, Cost. e art. 6, § 3, lett. a), C.E.D.U.

[82] Art. 111, comma 3, Cost. Disposizione analoga è prevista all’art. 6, § 3, lett. b), C.E.D.U. («in particolare, ogni accusato ha il diritto di (…) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa») e dall’art. 14, § 3, lett. b), P.i.d.c.p. («ogni individuo accusato di un reato ha diritto, in posizione di piena eguaglianza, come minimo, alle seguenti garanzie (…) a disporre del tempo e dei mezzi necessari alla preparazione della difesa ed a comunicare con un difensore di sua scelta»).

[83] I riti premiali previsti dal Libro VI del codice di procedura penale sono il giudizio abbreviato, l’applicazione della pena su richiesta delle parti e la sospensione del procedimento con messa alla prova.

[84] Cfr. infra e, per i debiti rilievi in dottrina, S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, Torino, 2012, p. 297 e M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 109.

[85] Per i reati di competenza del giudice monocratico, l’art. 558, comma 7, c.p.p. prevede che il termine a difesa concedibile sia non superiore a cinque giorni.

[86] Si veda, in particolare, il § 2.2.

[87] G. Spangher, I procedimenti speciali, in Aa. Vv., Procedura penale, Torino, 2010, p. 546.

[88] S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, cit., p. 242 e A. De Caro, Il giudizio direttissimo, cit., p. 161.

[89] S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, cit., p. 242. Anche A. De Caro, Il giudizio direttissimo, cit., p. 162 rileva come «ogni ‘ritardo’ pregiudichi in modo serio la difesa e la rappresentanza dell’imputato», così come P. Moscarini, Il giudizio direttissimo, cit., p. 260 ritiene che «difatti, una cosa è il tempo – necessario, oltre che per poter comparire, anche per prendere visione degli atti e studiare la strategia difensiva – che il legale deve avere a disposizione prima dell’udienza; altra cosa è, invece, la successiva concessione d’una dilazione, destinabile ad ulteriore approfondimento nella disamina della causa». Del medesimo avviso è E. Zanetti, Il giudizio direttissimo, in M. Pisani (a cura di), I procedimenti speciali in materia penale, Milano, 2003, p. 306, mentre, contra, A. Chiliberti, F. Roberti, G. Tuccillo, Manuale pratico dei procedimenti speciali, Milano, p. 531.

[90] A. Mangiaracina, voce «Giudizio direttissimo», in Dig. disc. pen., 2010, par. 10.

[91] Sempre nell’ottica di semplificare il procedimento, l’art. 451, comma 2, c.p.p. prevede la possibilità che i testimoni e i periti possano essere citati «anche oralmente» sia dalla polizia giudiziaria sia dall’ufficiale giudiziario, così come il comma terzo della medesima disposizione consente alle parti di presentarli in giudizio anche senza citazione. Si veda in dottrina S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, cit., p. 242-243.

[92] Pur essendosi ritenuto in giurisprudenza che anche nel giudizio direttissimo il risarcimento debba intervenire prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (Cass., sez. V, 9 luglio 2009, D.M.N., in CED Cass., 2009, Cass., sez. III, 21 marzo 1994, Giglione, ivi, 1994 e Cass., sez. IV, 4 marzo 1991, Di Pierri, in Riv. pen., 1992, p. 236) e, secondo un differente indirizzo, che in caso di mancata individuazione della persona offesa l’imputato possa «in via preliminare e prima dell’apertura del dibattimento» chiedere il rinvio dell’udienza per provvedere al risarcimento (Cass., sez. IV, 29 marzo 1990, Fucile, in Cass. pen., 1992, II, p. 302, m. 174), con una risalente pronuncia la Cassazione aveva ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 62, n. 6, c.p. – in riferimento all’art. 3 Cost. – nella parte in cui non garantirebbe all’imputato sottoposto al giudizio direttissimo «la possibilità di giovarsi dell’attenuante suddetta», della quale invece l’imputato sottoposto a rito ordinario potrebbe agevolmente valersi, sulla base della facoltà dell’imputato di accedere al termine a difesa «per la tutela di ogni suo interesse e pertanto anche al fine di effettuare o semplicemente proporre nelle forme di legge le riparazioni dovute alla persona offesa» (Cass., sez. II, 23 ottobre 1990, Pusceddu, in Riv. pen., 1991, p. 629).

[93] A. Chiliberti, F. Roberti, G. Tuccillo, Manuale pratico dei procedimenti speciali, cit., 1994, p. 529-530, n. 134.

[94] Sulla inesatta od omessa formulazione dell’avviso da parte del giudice all’imputato della facoltà di avvalersi dei riti premiali e della facoltà di richiedere il termine a difesa, la giurisprudenza aveva ritenuto in un primo momento che ciò non comportasse alcuna nullità processuale (Cass. pen., sez. I, 5 novembre 2001, Pasotti, in CED Cass., 2002, Cass. pen., sez. VI, 13 maggio 1999, Trovato, in Guida dir., 1999, 28, p. 82 e Cass. pen., sez. VI, 10 gennaio 1995, Jovini, in Rivista leggi d’Italia, 2020) mentre, allo stato attuale, la medesima considera sanata tale nullità a regime intermedio se non eccepita nel momento immediatamente successivo alla sua manifestazione (Cass. pen., sez. II, 16 giugno 2010, Rhee Hee Cheung, in CED Cass., 2010 e Cass. pen., sez. VI, 15 marzo 2007, De Vivo, in Dir. pen. proc., 2008, III, p. 364 con nota di A. E. Ricci, Giudizio direttissimo e avvertimenti processuali, ivi).

[95] G. Mammone, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2019, Roma, 2020.

[96] Nel caso del giudizio direttissimo di fronte al giudice monocratico, l’art. 558, comma 7 stabilisce che «l’imputato ha facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a cinque giorni [e che] quando l’imputato si avvale di tale facoltà, il dibattimento è sospeso fino all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine» e, il comma 8, che «subito dopo l’udienza di convalida, l’imputato può formulare richiesta di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta».

[97] Si vedano S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, cit., p. 297, A. Mangiaracina, voce «Giudizio direttissimo», cit., par. 12 e A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 157, n. 370 i quali, benché sottolineino che «oltre all’effetto sospensivo del dibattimento, bisogna considerare che il termine concesso all’imputato è finalizzato a ‘preparare la difesa’, formulazione apparentemente più legata allo svolgimento dell’attività istruttoria prevista nel dibattimento che alla scelta se richiedere un rito alternativo», ritengono come entrambi gli avvisi siano da formulare prima della apertura del dibattimento. A. Natale, Il giudizio direttissimo, cit., p. 592-593, dal canto suo, pur aderendo alla medesima tesi, ritiene comunque poco convincente e del tutto superabile anche il dato testuale posto alla base dell’orientamento che vorrebbe la alternatività degli avvisi grazie alla locuzione «altresì» prevista dall’art. 451, comma 6, c.p.p. Si veda contra S. Ramajoli, I procedimenti speciali nel codice di procedura penale, Padova, 1996, p. 127.

[98] Dall’esame della giurisprudenza di merito emerge che nelle more dell’udienza di convalida e di contestuale direttissimo, prima che venga aperto il dibattimento, è pacifico che il giudice avvisi l’imputato sia della facoltà di richiedere il termine a difesa sia della facoltà di accedere al rito abbreviato ovvero al patteggiamento, così come è pacifico per la difesa chiedere in un primo momento l’assegnazione del termine a difesa e, nelle more dell’udienza alla quale il processo è rinviato, chiedere al giudice di procedere al dibattimento ovvero al rito abbreviato o alla applicazione della pena su richiesta delle parti. Si vedano, ad esempio, Trib. Napoli, sez. V, 26 novembre 2019, in Rivista DeJure, 2020, Trib. Trento, 15 ottobre 2019, ivi, 2020, Trib. Monza, 26 luglio 2019, ivi, 2020, Trib. Terni, 05 giugno 2019, ivi, 2020. Si veda contra Trib. Bari, sez. I, 17 ottobre 2006, in Giurisprudenzabarese.it, 2006.

[99] Cass., sez. VI, 19 febbraio 2019, n. 14129, in CED Cass., 2019. Nello stesso senso si vedano Cass., sez. IV, 2 marzo 2010, n. 9204, in Dir. pen. proc., 2010, V, p. 550 e Cass., sez. V, 22 novembre 2002, n. 43713, Malatesta ed altri, in Riv. pen., 2004, p. 107. Si vedano anche Cass., sez. V, 18 febbraio 2010, n. 12778, Gludi, in Cass. pen., 2011, V, p. 1854, m. 617, Cass., sez. I, 22 aprile 2008, n. 17796, Salhi, ivi, 2008, VII-VIII, p. 2949, m. 904 con nota di F. Galluzzo, La concessione di termine a difesa nella direttissima esclude l’accesso ai riti premiali?, ivi, p. 2950, e Cass., sez. I, 21 giugno 2001, n. 29446, Carone e altri, in Cass. pen., 2002, V, p. 1761, m. 554.

[100] Cass., sez. VI, 17 settembre 1992, Spasiano, in Mass. Cass. Pen., 1993, II, p. 86. Conformi ad esse sono anche Cass., sez. V, 18 febbraio 2010, Glaudi, cit. e Cass., sez. IV, 18 aprile 2001, n. 903, Cornetta, in CED Cass., 2001.

[101] Cass., sez. VI, 19 gennaio 2010, n. 13118, Pignataro, in Cass. pen., 2011, V, p. 1854, m. 616. Nello stesso senso Cass., sez. VI, 23 ottobre 2008, n. 42696, La Gatta, CED Cass. penale, 2009.

[102] Il legislatore del 1988, nel prevedere la disciplina degli avvisi, si era limitato a estendere tale formulazione al giudizio abbreviato e al c.d. patteggiamento.

[103] Come emerge da un recente decisione di merito, seppur obiter dictum, il giudice ha avvisato l’imputato altresì della facoltà di accedere alla sospensione del procedimento con messa alla prova (Trib. Napoli, sez. I, 11 giugno 2020, n. 10454, in Sistema penale, 2020, X, p. 99).

[104] Il termine a difesa massimo concedibile è di cinque giorni nel caso in cui si proceda per i reati di competenza del giudice monocratico o di dieci giorni qualora il direttissimo sia instaurato di fronte alla Corte di assise ovvero al giudice collegiale.

[105] Alcuni reati oggetto di giudizi direttissimi obbligatori sono decisamente complessi da accertare, in particolare in materia di armi e di esplosivi. Si veda anche M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 109-110, n. 115.

[106] Il quale vorrebbe evitare che «vi siano intervalli di tempo tra l’assunzione delle prove in udienza, la discussione finale e la deliberazione della sentenza, allo scopo di garantire che la decisione rappresenti il risultato fedele delle elaborazioni processuali e non sia alterata da elementi esterni in grado di ingannare la memoria di chi è chiamato a emetterla». Così G. Garuti, Il giudizio ordinario, in Aa. Vv., Procedura penale, Torino, 2019, p. 593.

[107] S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, cit., p. 295, la quale non esclude che il giudice possa sospendere «il giudizio per un tempo superiore alle prescrizioni di legge».

[108] Si veda la giurisprudenza di merito citata nelle note precedenti.

[109] L’art. 132-bis, lett. f), norme att. c.p.p. stabilisce che «nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi è assicurata la priorità assoluta (…) ai processi da celebrare con giudizio direttissimo». Nonostante tale disposizione, si constata nella prassi la concessione di rinvii anche di diversi mesi.

[110] Gli artt. 449, commi 1 e 5 terzo periodo, e 450, comma 1, c.p.p. consentono al PM di «presentare» o di far «condurre direttamente» in dibattimento l’imputato «arrestato in flagranza o in stato di custodia cautelare».

[111] L’art. 13, commi 2 e 3, Cost. prevede che «non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge» e che «in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto».

[112] Così A. De Caro, Il giudizio direttissimo, cit., p. 111.

[113] S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, cit., p. 225 e M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 129.

[114] A. Macchia, voce «Giudizio direttissimo», in Dig. disc. pen., 1991, par. 8.

[115] Tale prassi è stata cassata da A. Ruggiero, F. Giunchedi (a cura di), voce «Art. 450 c.p.p.», in Cod. proc. pen. commentato, 2020, i quali ritengono che «oltre ad appesantire le forme, mal conciliandosi con la natura acceleratoria del rito direttissimo, siffatto meccanismo appare non rispettoso, per un verso, del dettato normativo e, per altro verso, dei princìpi costituzionali in materia di libertà personale». Nello stesso senso anche A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 114, n. 243.

[116] Così anche A. De Caro, Il giudizio direttissimo, cit., p. 115, il quale rileva come la presenza dell’imputato sia di importanza tale da determinare la paralisi del procedimento direttissimo e la necessità che il PM proceda con altre forme qualora questi sia assente. Come si vedrà meglio infra, questa impostazione si rivela oggi del tutto anacronistica avendo riguardo alla disciplina dell’assenza dell’imputato e del legittimo impedimento di questi di comparire all’udienza. Si veda, inoltre, quanto già considerato supra § 2.3.

[117] A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 115. Si veda, contra, P. Dubolino, Pubblico ministero e riti alternativi, in Quad. CSM, 1989 p. 420, il quale in tal senso contesta l’assenza nell’attuale codice di una disposizione analoga all’art. 275 c.p.p. 1930, il quale prevedeva tra l’altro che «con la sentenza di condanna a pena detentiva anche se soggetta ad impugnazione non può essere ordinata la scarcerazione dell’imputato detenuto». Tale meccanismo, ad oggi, sarebbe del tutto confliggente rispetto al principio della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, comma 2, Cost.

[118] S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, cit., p. 226, G. Fumu, Aspetti problematici del giudizio direttissimo e del giudizio immediato, in A. Gaito (coord. da), I giudizi semplificati, Padova, 1989, p. 253, A. Mangiaracina, voce «Giudizio direttissimo», cit., par. 8 e M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 126 ss.

[119] L’art. 3, § 3, lett. a), C.E.D.U. garantisce all’accusato il diritto di «essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico», ripreso anche dall’art. 9, § 2, P.i.d.c.p. sul diritto dell’arrestato di essere posto nelle condizioni di conoscere l’accusa alla base del provvedimento restrittivo della libertà personale.

[120] La forma scritta è richiesta dall’art. 3 della direttiva 2010/64/UE «sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali», trasposta in Italia con d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32.

[121] Gli artt. 449, comma 1, e 450, comma 1, c.p.p. si riferiscono al soggetto «imputato» e non al solo soggetto arrestato ovvero indagato: si veda in dottrina A. Ruggiero, F. Giunchedi (a cura di), voce «Art. 450 c.p.p.», cit., par. 1 e A. De Caro, Il giudizio direttissimo, cit., p. 156.

[122] Cass., sez. VI, 22 febbraio 2018, n. 13199, in Rivista DeJure, 2018, § 5.1. ss.

[123] In tal senso si veda M. Brazzi, La difesa dell’indagato nella fase precautelare, cit., p. 226 ss. Tale principio si applica anche quando esse vengono contestualmente pronunciate con il medesimo provvedimento giurisdizionale: in tal senso si vedano Cass., sez. II, 14 febbraio 2019, n. 26605, in CED Cassazione penale, 2019 e Cass., sez. feriale, 10 agosto 1993, Fartase, in Giust. Pen., 1993, III, p. 655. Sia ben inteso che, stante l’autonomia delle statuizioni – precautelare e cautelare – occorre avere riguardo alla diversità dei rimedi impugnatori approntati dall’ordinamento: così Cass., sez. II, 14 dicembre 2016, n. 223, in Dir. e giust., 2017 e, nello stesso senso, Trib. Milano, sez. XI, 7 marzo 2008, in Foro ambrosiano (il), 2008, I, p. 40, m. 23.

[124] I quali stabiliscono che «se ricorrono le condizioni di applicabilità previste dall’articolo 273 e taluna delle esigenze cautelari previste dall’articolo 274, il giudice dispone l’applicazione di una misura coercitiva a norma dell’articolo 291 [mentre, se] l’arresto è stato eseguito per uno dei delitti [per i quali è previsto l’arresto facoltativo in flagranza, o è consentito l’arresto senza che ricorresse la flagranza], l’applicazione della misura è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lettera c), e 280 [mentre, tuttavia,] quando non provvede a norma del comma 5, il giudice dispone con ordinanza la immediata liberazione dell’arrestato». Detto principio è ripreso da Cass., sez. I, 5 maggio 1992, Formicola, in Riv. pen., 1992, p. 1034, Cass., sez. VI, 4 marzo 1991, Bottona, in Cass. pen., 1992, II, p. 331, m. 218 con nota di C. Beretta, Ancora sui rapporti tra convalida dell’arresto, custodia cautelare e interrogatorio ai sensi dell’art. 294 c.p.p., ivi e Cass., sez. VI, 17 gennaio 1991, Gobbi ed altri, ivi, 1991, XII, II, p. 955, m. 345.

[125] Cass., sez. III, 16 gennaio 2020, n. 6626, in Foro it., 2020, 5, II, p. 289.

[126] Si veda, in dottrina, M. Brazzi, La difesa dell’indagato nella fase precautelare, cit., p. 226.

[127] Cass., sez. III, 16 gennaio 2020, n. 6626, cit., § 1, § 3 e § 5.

[128] A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 58.

[129] Secondo tale disposizione, la sola convalida non costituisce provvedimento sufficiente a legittimare il protrarsi dello stato di custodia del soggetto arrestato. In dottrina si veda A. De Caro, Il giudizio direttissimo, cit., p. 101 ss., il quale rinvia a Cass., sez. VI, 21 luglio 1992, Guadagno, in Mass. Cass. Pen., 1993, I, p. 18 e Cass., sez. I, 2 marzo 1990, La Cognata, in Giust. pen., 1991, III, p. 540.

[130] Cass., sez. feriale, 28 luglio 1990, Balistreri, in Cass. pen., 1991, I, II, p. 40, m. 12.

[131] Cass., sez. un., 23 novembre 1990, Colombo Speroni ed altri, in Cass. pen., 1991, I, II, p. 137, m. 50.

[132] A. De Caro, Il giudizio direttissimo, cit., p. 101, n. 20, il quale ritiene parimenti corretto il principio perseguito dalla decisione citata.

[133] Cass., sez. un., 1° ottobre 1991, Simioli, in Cass. pen., 1992, II p. 288, m. 164. Nello stesso senso Cass., sez. VI, 8 marzo 2000, n. 1156, in CED Cassazione penale, 2000.

[134] Secondo la dottrina più recente in materia (per tutti, A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 59), l’orientamento della decisione Simioli volto a conferire alla convalida dell’arresto il c.d. effetto “ultrattivo” sarebbe ancora consolidato. Tuttavia, tale giudizio sarebbe ad avviso di chi scrive obsoleto, in quanto le produzioni dottrinali sul punto si sono avute sino a prima del 2016, anno dal quale, come già detto, sono invece affiorate le prime decisioni di segno opposto.

[135] Gli artt. 13 Cost. e 272 c.p.p. prevedono infatti che le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto a norma di legge e con un provvedimento del giudice.

[136] Si veda, ad esempio, l’art. 9, § 1, P.i.d.c.p. («ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Nessuno può essere arbitrariamente arrestato o detenuto. Nessuno può esser privato della propria libertà, se non per i motivi e secondo la procedura previsti dalla legge») e l’art. 5, § 1, lett. b), e c), C.E.D.U. («ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge: (…) se si trova in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione di un provvedimento emesso, conformemente alla legge, da un tribunale o allo scopo di garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge [ovvero] se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità giudiziaria competente, quando vi sono motivi plausibili di sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati di ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di darsi alla fuga dopo averlo commesso»).

[137] C. cost., 2 aprile 1999, n. 109, in Cass. pen., 1999, IX, p. 2468, m. 1175. Si veda in dottrina A. Natale, Il giudizio direttissimo, in A. Bassi, C. Parodi (a cura di), I procedimenti speciali penali, Milano, 2019, p. 522.

[138] Sia l’art. 13, comma 3, Cost. sia gli artt. 449 ss. e 558 c.p.p. prescrivono solo il termine massimo di convalida del provvedimento, ma non il termine minimo, che potrebbe essere perfino ad horas.

[139] Sulle questioni concernenti la compressione delle garanzie difensive si veda supra § 2. ss.

[140] Esempio ne sono i reati commessi in occasione di eventi sportivi, per i quali è prevista l’instaurazione di un rito direttissimo ad hoc e che godono, secondo M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 40, «di ampio rilievo mediatico». Il medesimo rileva, ivi, come sia tutt’altro che infondato il rischio che il giudice emetta una decisione esemplare proprio perché condizionato dall’allarme sociale prodotto dal fatto per il quale si procede: questo lo trasformerebbe, a suo avviso, nell’organo inquirente o di polizia deputato a ristabilire l’ordine che assumerebbe violato, “pena” la considerazione da parte dell’opinione pubblica di essere il meccanismo di un sistema “debole” e poco efficiente riguardo all’amministrazione della giustizia.

[141] A. De Caro, Il giudizio direttissimo, cit., p. 19-20. Nello stesso senso M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 39.

[142] L’inserimento di atti investigativi nel fascicolo del dibattimento determina l’inutilizzabilità dei medesimi e da tale condotta discenderebbe, peraltro, la responsabilità disciplinare del PM in forza dell’art. 124 c.p.p.

[143] Sull’importanza del principio di separazione delle fasi si veda supra § 2.2., § 2.5.

[144] P. Moscarini, “Accusatorietà” del processo penale e giudizio direttissimo, cit., p. 273.

[145] Il giudice può restituire gli atti anche qualora vi fosse la necessità di «speciali indagini» ovvero emergesse la necessità di riunire il procedimento con altro procedimento connesso per il quale il direttissimo non potrebbe essere instaurato in forza dell’art. 449, comma 6, c.p.p.

[146] Conformemente all’art. 111, comma 2, Cost. e agli art. 6, § 1, C.E.D.U., dall’art. 14, § 1, P.i.d.c.p. e dall’art. 47, § 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il giudice deve essere «terzo e imparziale» ovvero «indipendente e imparziale». Si vedano anche M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 43 ss., A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 43 ss.

[147] Sulla discutibile tecnica utilizzata dal legislatore del 1988 sull’art. 34 c.p.p., si veda O. Mazza, Il progressivo ampliamento delle incompatibilità del giudice, in Dir. pen. proc., 1995, p. 1403, il quale in particolare rileva che il «legislatore del 1988 (…) anziché stabilire in via generale i presupposti dell’incompatibilità al giudizio, aveva optato per una disciplina eminentemente casistica lasciandosi guidare da un eccesso di analisi che, in una materia tanto delicata, era inevitabilmente destinato a determinare delle lacune».

[148] C. cost., 15 settembre 1995, n. 432, in Dir. pen. proc., 1995, XII, p. 1401, con nota e commento di O. Mazza, Il progressivo ampliamento delle incompatibilità del giudice, cit., p. 1403 ss. Critica tale decisone A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 44, poiché da tale ricostruzione emerge la netta disparità di trattamento tra l’imputato sottoposto al giudizio direttissimo contestuale e l’imputato sottoposto al direttissimo nei trenta giorni dalla convalida.

[149] C. cost., ord. 19 luglio 1996, n. 267, in CED Cass., 1996, con la quale la Corte prende espressamente le distanze da C. cost., 15 settembre 1995, n. 432, cit., stante la asserita diversità delle fattispecie.

[150] Così C. cost., 31 maggio 1996, n. 177, in CED Cass., 1996, la quale precisa inoltre che «l’incompatibilità del giudice per atti compiuti nel procedimento (…) non necessariamente deve essere estesa sino a collegarla a tutti i provvedimenti con contenuto valutativo emanati dal giudice competente e senza che vi fosse incompatibilità nel momento in cui lo stesso è stato investito del giudizio di merito [casi nei quali, questi] il provvedimento non costituisce anticipazione di un giudizio che deve essere instaurato, ma, al contrario, si inserisce nel giudizio del quale il giudice è già correttamente investito senza che ne possa essere spogliato: anzi è la competenza ad adottare il provvedimento dal quale si vorrebbe far derivare l’incompatibilità che presuppone la competenza per il giudizio di merito e si giustifica in ragione di essa». Si veda anche Cass., sez. IV, 30 luglio 1998, Luzi, in Giust. pen., 1999, III, p. 728.

[151] C. cost., ord. 9 marzo 2004, n. 90, in Giur. cost., 2004, p. 2. Nello stesso senso si veda anche C. cost., 14 maggio 2010, n. 177, in Cass. pen., 2010, X, p. 3437, m. 1046. Tali decisioni hanno ribadito che «la medesima questione è stata ripetutamente dichiarata infondata e manifestamente infondata, sulla base del rilievo che non è configurabile una menomazione dell’imparzialità del giudice che adotta decisioni preordinate al proprio giudizio o rispetto ad esso incidentali».

[152] C. cost., 21 giugno 2012, n. 153, in Giur. cost., 2012, III, p. 2111 con nota di T. Rafaraci, Il divieto di partecipare al giudizio dopo la pronuncia de libertate in altra fase del procedimento come «paradigma di sistema», ivi, p. 2122-B. Questa decisione è stata richiamata, peraltro, dalla recente Cass., sez. V, 24 febbraio 2020, n. 15689, in CED Cassazione penale, 2020. Nello stesso senso si veda anche Cass., sez. III, 16 gennaio 2020, n. 6626, cit. con nota di F. Nicolicchia, La Cassazione alle prese con un arresto sui generis. La liaison dangereuse tra tutela della libertà personale e giudizio di convalida nella decisione sul caso “Sea Watch, in Cass. pen., 2020, X, p. 3748.

[153] Si consideri peraltro che all’interno della scelta del giudizio direttissimo si possono ricomprendere diverse ulteriori opzioni: direttissimo nelle quarantotto/novantasei ore successive all’arresto direttamente di fronte al giudice del dibattimento, direttissimo entro i trenta giorni dalla convalida di fronte al GIP ovvero del direttissimo previsto dalle leggi speciali.

[154] S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, cit., p. 272-273 e M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 123-124.

[155] Secondo S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, cit., p. 273 «nessun [altro] procedimento speciale legittima il pubblico ministero all’individuazione autonoma dell’organo a cui devolvere la fase del giudizio».

[156] Si veda, sul punto, A. Gaito, Il giudizio direttissimo, Milano, 1980, p. 275 ss., ove l’autore rileva che «come ben noto agli operatori del diritto, la sorte di un imputato viene non di rado condizionata fortemente, se non addirittura segnata, nel momento stesso in cui la sua causa è assegnata per il dibattimento a questo o quel collegio, all’uno o all’altro giudice. Solo in una visione ingenuamente astratta (ovvero strumentalmente distorta), della funzione giudicante potrebbe affermarsi che l’un magistrato vale l’altro e che il contenuto statuizionale della sentenza sarà sempre lo stesso, quale che sia il giudice che stia per pronunciarla». Della stessa posizione M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 125.

[157] C. cost., 3 dicembre 1969, n. 146, in G.U., I^ Serie speciale, 10 dicembre 1969, n. 311, la quale peraltro precisa che tale scelta «è fatta nell’esercizio di un potere che, a parte la sua natura, è ben più limitato di quello spettante al Presidente del tribunale, (…) o esercitato dai presidenti delle singole sezioni, circa la formazione dei ruoli e l’assegnazione dei procedimenti ai collegi: attribuzioni queste ultime di natura meramente ordinatoria, la cui discrezionalità risulta necessaria ad assicurare l’efficienza della funzione giurisdizionale». Nello stesso senso si veda C. cost., 12 dicembre 1972, n. 170, in CED Cass., 1972, C. cost., 13 giugno 1983, n. 164, in Foro it., 1983, I, p. 2978, C. cost., 12 dicembre 1972, n. 172, cit., C. cost., ord. 5 luglio 1973, n. 114, in CED Cass., 1973 e, nella giurisprudenza ordinaria, Cass., 30 giugno 1982, Pellegrini, in Riv. pen., 1983, p. 718.

[158] Relazione al progetto preliminare di un nuovo codice di procedura penale, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, X, p. 110, la quale, peraltro richiama C. cost., 13 giugno 1983, n. 164, cit., rilevava l’intento del legislatore di evitare che «il pubblico ministero stabilisc[a] a suo illimitato piacimento il giudice dibattimentale».

[159] M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 123, n. 6.

[160] Così A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 262, n. 8.

[161] C. cost., 8 febbraio 1991, n. 68, Zanoni, in CED Cass., 1991.

[162] Con C. cost., sent. n. 68 del 1991, cit., § 1 la Consulta ha evidenziato le questioni che, di fatto, maggiormente hanno portato i tribunali di merito a sollevare la questione di legittimità costituzionale: «non soltanto per l’assenza del filtro dell’udienza preliminare, ma anche per la soppressione di alcuni epiloghi propri di tale udienza, quali la conclusione del processo in camera di consiglio, con conseguente riservatezza del procedimento stesso». Dal § 3. della esposizione in fatto della decisione emerge che la fase processuale anteriore al dibattimento adempirebbe, a detta dei Tribunali rimettenti, a «una funzione di tutela dei diritti dell’indagato e dell’efficienza dell’amministrazione giudiziaria», consentendosi, proprio attraverso l’udienza preliminare, di accertare i casi più evidenti di innocenza dell’indagato, evitando allo stesso la sofferenza del giudizio, alla società il suo costo, economico e di credibilità.

[163] C. cost., 8 febbraio 1991, n. 68, Zanoni,  cit., § 1 in fatto.

[164] C. cost., 8 febbraio 1991, n. 68, Zanoni, cit., § 4.

[165] A detta di A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 263, il legislatore non sarebbe stato debitamente “dissuaso” a produrre nuovi giudizi direttissimi atipici a causa l’assenza del rilievo da parte della Corte costituzionale di «un contrasto sostanziale con norme costituzionali [in luogo del solo vizio di] eccesso di delega».

[166] A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, cit., p. 5. Interessante, peraltro, la ricostruzione fatta dagli autori delle opinioni espresse dalla dottrina sulla legislazione emergenziale, rinvenibile ivi, p. 264, n. 11.

[167] Con l’art. 6, comma 5, d.l. 26 aprile 1993, n. 122, conv. con modif. dalla l. 25 giugno 1993, n. 205.

[168] Con gli artt. 12, comma 4, 13, comma 13-ter, e 14, comma 5-quinquies, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.

[169] Con l’art. 8-bis, d.l. 20 agosto 2001, n. 336, conv. con modif. dalla l. 19 ottobre 2001, n. 377.

[170] Peraltro, a differenza di quanto previsto per il giudizio direttissimo tipico (ove è previsto l’interrogatorio in sede di convalida dell’arresto o l’interrogatorio dal quale emerge la confessione), le disposizioni sul giudizio direttissimo atipico non prevedono il compimento dell’interrogatorio dell’imputato, momento nel quale si avrebbe il primo confronto tra quest’ultimo (quando viene citato a comparire) e l’autorità giudiziaria. Si vedano in tal senso C. cost., 14 luglio 1976, n. 172, Santoro ed altri, in CED Cass., 1976 e C. cost., 26 giugno 1970, n. 109, Caronti, in CED Cass., 1970. Si veda in dottrina anche A. Gaito, Il giudizio direttissimo, cit., p. 156-159.

[171] Termine che deriva dal latino flăgro – ossia «bruciare» – il quale traslato nella sfera giuridica indica «la percezione del fatto nel momento in cui accade, implicando un nesso di contestualità (ovvero di contiguità) che integra lo stato di evidenza probatoria che lega il soggetto al fatto». Così M. Riccardi, Inseguimento vs perseguimento: l’incerto perimetro della flagranza impropria, in Giur. pen., 2016, p. 12, n. 34.

[172] L’istituto della flagranza permanente è  previsto dall’art. 382, comma 2, c.p.p., il quale stabilisce che «nel reato permanente lo stato di flagranza dura fino a quando non è cessata la permanenza». L’espressione «flagranza permanente» è stata utilizzata anche da D. Negri (a cura di), Le indagini preliminari e l’udienza preliminare, in G. Illuminati, L. Giuliani  (diretto da), Trattato teorico pratico di diritto processuale penale, V, Torino, 2017, p. 85.

[173] Ai sensi dell’art. 382, comma 1, c.p.p. è in stato di quasi flagranza «chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima».

[174] Il termine «flagranza differita» è utilizzato sia dal legislatore sia da una parte della dottrina: si veda l’art. 15, comma 1, lett. a), d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv. con modif. dalla l. 8 agosto 2019, n. 77 e, in dottrina, M. Brazzi, La difesa dell’indagato nella fase precautelare, cit., p. 42 e M. F. Cortesi, D.A.SPO. (Divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono le manifestazioni sportive), cit., par. 10, mentre L. Degli’innocenti, A. Trinci, Trattenimento degli stranieri e arresto differito: le novità introdotte dal decreto “immigrazione-sicurezza”, in Penalista (il), 2021 e L. M. Flamini, Violenza negli stadi, in Dig. disc. pen., 2005, par. 5 utilizzano, per definire l’istituto de quo, il termine «arresto differito».

[175] A. De Caro, Il giudizio direttissimo, cit., 1996, p. 96.

[176] M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 10, n. 28.

[177] In particolare, si segnalano i recenti rilievi di S. Signorato, Arresto in flagranza differita: limiti sistematici e prospettive, in Riv. dir. proc., 2004, I, p. 79 ss. la quale scrive che «sul piano dei diritti fondamentali, occorre ricordare come l’attività di videoripresa possa porsi in rapporto di tensione con la tutela di vari diritti, tra cui il diritto alla privacy. La raccolta, la registrazione, la conservazione e l’utilizzo di immagini configura infatti un trattamento di dati personali sia ex art. 4, n. 2, regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), sia ai sensi dell’art. 3 della direttiva law enforcement (direttiva (UE) 2016/680). Ne consegue che la videoripresa è soggetta ai principi che presiedono al trattamento dei dati personali e, quindi, ai principi di liceità, correttezza, esattezza, necessità, proporzionalità, finalità e sicurezza dei dati. (…) Fatte queste premesse terminologiche e concettuali, dato che una videoripresa può ‘catturare’ immagini che cristallizzano il compimento di un reato, occorre verificare se lo stato di colui che venga videoripreso nell’atto di commetterlo possa assurgere a presupposto legittimante l’arresto in flagranza (ciò anche in termini di applicabilità del giudizio direttissimo)».

[178] Si veda in dottrina L. Degli’innocenti, A. Trinci, Trattenimento degli stranieri e arresto differito: le novità introdotte dal decreto “immigrazione-sicurezza”, cit. mentre, contra, L. M. Flamini, Violenza negli stadi, cit., par. 5.

[179] M. F. Cortesi, D.A.SPO. (Divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono le manifestazioni sportive), cit., par. 10.

[180] Per tutti coloro che aderiscono a detto orientamento si veda P. Garraffa, La nuova normativa contro la violenza negli stadi: qualche piccolo passo in avanti, ed un grosso passo indietro, in Diritto penale contemporaneo, 2015, p. 21 e D. Perugia, Violenza negli stadi ed arresto in flagranza “differita”: vecchie e nuove perplessità, in Giur. it., VIII-IX, 2008, p. 2042.

[181] Così L. M. Flamini, Violenza negli stadi, cit., par. 5.

[182] Cass., sez. IV, 18 aprile 2007, n. 17178, Dinoi, in Giur. it., VIII-IX, 2008, p. 2040 ss. con nota di D. Perugia, Violenza negli stadi ed arresto in flagranza “differita”: vecchie e nuove perplessità, cit.

[183] Si veda C. cost., 4 dicembre 2002, n. 512, Franchi, in Giur. It., 2004, p. 3 con nota di D. Lacchi, Nota sugli effetti dell’arresto in flagranza in occasione di manifestazioni sportive e obbligo di comparizione del tifoso pericoloso, cit., con la quale la Corte ha stabilito che «il presupposto della eccezionale necessità ed urgenza, richiesto dall’art. 13 della Costituzione, affinché l’autorità di pubblica sicurezza possa temporaneamente adottare provvedimenti incidenti sulla libertà personale, è pienamente vigente nell’ordinamento giuridico, rappresentando attualmente (…) un criterio per il relativo giudizio di convalida effettuato dall’autorità giudiziaria [in quanto] spetterà [ad essa], in ossequio al sistema di garanzie previsto dall’art. 13 della Costituzione, valutare, in sede di convalida del provvedimento, la sussistenza delle condizioni richieste per la sua adozione sul piano della necessità ed urgenza, nonché l’adeguatezza del suo contenuto anche sotto il profilo della durata».

[184] M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 131.

[185] Questa è la posizione assunta dalla Consulta con C. cost., 2 giugno 1983, n. 164, cit., richiamata da ultimo da C. cost., 24 giugno 2010, n. 229, in Sito uff. Corte cost., 2011.

[186] Cfr. M. T. M. Rubera, Questioni in tema di giudizio direttissimo, cit., p. 138.

[187] Si vedano i rilievi mossi nei paragrafi precedenti.

[188] Relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, cit., p. 250 ss., dalla quale emerge che «elemento caratterizzante il giudizio direttissimo è pertanto l’esistenza originaria di una situazione di evidenza della prova, della quale l’arresto in flagranza e la confessione dell’imputato rappresentano le due sole ipotesi predeterminate dalla legge. (…) Di regola, ove si profili sin dall’inizio l’esigenza di indagini non esperibili in dibattimento, la mancanza di evidenza probatoria impone al pubblico ministero di rinunciare alla pretesa di instaurare il giudizio direttissimo».

[189] C. cost., 15 luglio 2004, n. 223, in Dir. pen. proc., 2004, IX, p. 1074.

[190] C. cost., 15 luglio 2004, n. 223, cit. § 3.1.

[191] C. cost., 15 luglio 2004, n. 223, cit. § 3.1. Nella decisione infatti emerge che «l’arresto obbligatorio previsto dall’art. 14, comma 5-quinquies, [era] privo di qualsiasi sbocco sul terreno processuale, (…) una misura fine a se stessa, che [avrebbe mai potuto] trasformarsi nella custodia cautelare in carcere, né in qualsiasi altra misura coercitiva, e non trovava alcuna copertura costituzionale» stante «l’autonomia tra il giudizio di convalida, volto a verificare ex post la legittimità dell’operato dell’autorità di polizia, e la protrazione dello stato di privazione della libertà personale, per la quale è richiesto un ulteriore e autonomo provvedimento». Si veda in dottrina S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, cit., p. 188-189.

[192] Gli artt. 15 e 16 della direttiva de qua stabiliscono, quale parametro minimo di legittimità del rimpatrio, che il trattenimento deve essere finalizzato a quest’ultimo e, in particolare, quando sussiste un rischio di fuga o il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento. Peraltro, la durata del trattenimento deve essere la più breve possibile. In particolare, esso deve essere disposto per iscritto e per un periodo non superiore a dodici mesi.

[193] Corte giust. UE, C61/11 PPU, 28 aprile 2011, El Dridi pubblicata sul portale EUR-Lex, al sito eur-lex.europa.eu

[194] Corte giust. UE, C61/11 PPU, 28 aprile 2011, El Dridi, cit., § 31.

[195] Corte giust. UE, C61/11 PPU, 28 aprile 2011, El Dridi, cit., § 39.

[196] Corte giust. UE, C61/11 PPU, 28 aprile 2011, El Dridi, cit., § 33.

[197] Come emerge da Corte giust. UE, C61/11 PPU, 28 aprile 2011, El Dridi, cit., § 46 e § 47., con i quali la Corte rileva che «per costante giurisprudenza, qualora uno Stato membro si astenga dal recepire una direttiva entro i termini o non l’abbia recepita correttamente, i singoli sono legittimati a invocare contro detto Stato membro le disposizioni di tale direttiva che appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise [e che] ciò vale anche per gli artt. 15 e 16 della direttiva 2008/115, i quali (…) sono incondizionati e sufficientemente precisi da non richiedere ulteriori specifici elementi perché gli Stati membri li possano mettere in atto».

[198] S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, cit., p. 196. Rileva anche P. Oddi, Difendere i migranti. Il punto di vista dell’avvocato immigrazionista, in Diritto penale contemporaneo, 2019, par. 4 che «per quasi dieci anni le aule delle convalide degli arresti e dei processi per direttissima si erano affollate di stranieri inottemperanti e dei loro difensori, in un corpo a corpo con la carcerazione penale che ha prodotto molte ingiustizie, nella consapevolezza da parte di tutti gli operatori del diritto dell’assoluta inutilità di questo reato».

[199] Art. 83, comma 3, lett. b), d.l. 8 marzo 2020, n. 11 – oggi abrogato –

[200] Art. 23, comma 5 primo periodo, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137.

[201] Art. 146-bis, comma 5, norme att. c.p.p.

[202] O. Mazza, Distopia del processo a distanza, in Arch. pen., 2020, I, p. 4, il quale giustamente rileva come «il primo errore d’impostazione è (…) quello di non regolamentare per legge le modalità tecniche di svolgimento di un processo che si connota proprio per la sua veste tecnologica. Per essere più chiari, il processo a distanza si qualifica per la tecnologia impiegata e per le regole di gestione della stessa che non possono essere lasciate alle determinazioni di un dirigente amministrativo (…) . Questo è un modo di legiferare che aggira la riserva di legge (art. 111 comma 1 Cost.)». Nello stesso senso V. Maiello, La smaterializzazione del processo penale e la distopia che diventa realtà, in Arch. pen., 2020, I, p. 3.

[203] O. Mazza, Distopia del processo a distanza, cit., p. 3.

[204] O. Mazza, Distopia del processo a distanza, cit., p. 1 giustamente paventa il rischio che tale monstrum processuale possa trovare applicazione anche negli anni successivi, determinando la morte del processo penale fondato sul contraddittorio delle parti e sul principio di oralità (O. Mazza, Distopia del processo a distanza, cit., p. 2). Si veda anche V. Maiello, La smaterializzazione del processo penale e la distopia che diventa realtà, cit., p. 2, il quale rileva che «in pratica, a svanire è la conformazione materiale del giudizio e con essa, perciò, non solo la dimensione che ne ha fatto un paradigma/epicentro di svariati registri narrativi, bensì – soprattutto – quel clima d’aula che integra la pre-condizione delle potenzialità performative della contesa dialettica. Costruire un processo nel quale ciascuno dei protagonisti partecipa ‘da remoto’ significa virtualizzare un contesto comunicativo che proprio alla simultanea presenza fisica degli attori del contraddittorio deve la sua specifica capacità epistemica di strumento privilegiato ai fini di un’affidabile ricostruzione dei fatti e di un proficuo confronto di tesi antagoniste».